Il problema dell’insicurezza alimentare, nell’immaginario collettivo è associato ai paesi con grandi difficoltà economiche e situazioni politiche instabili, dove buona parte della popolazione soffre di denutrizione. Eppure l’accesso limitato alle risorse alimentari è una condizione che interessa in buona parte anche i paesi emergenti e con stabilità economica: diffusissimo negli Stati Uniti, lo specifico fenomeno prende il nome di “deserto alimentare”. In particolare si tratta dell’accessibilità estremamente limitata che hanno le zone periferiche delle grandi città a cibi salutari e che abbiano un apporto nutrizionale equilibrato: spesso infatti, nei quartieri più poveri delle grandi metropoli il supermercato più vicino è a diversi chilometri di distanza e vende prodotti come frutta e verdura a prezzo troppo elevato per le famiglie con difficoltà economiche, mentre sono diffusissimi i “corner shops”, che vendono cibo in scatola e eccessivamente processato. Prodotti disponibili vicino casa e a basso prezzo portano le persone a compiere una scelta obbligata per quanto riguarda la propria alimentazione. Un termine che permette di comprendere meglio il complesso fenomeno dei deserti alimentari è quello di “food apartheid”, che pone l’attenzione sulle dinamiche di potere che portano alla generazione di contesti svantaggiati, controllati da realtà che sfruttano il loro potere per il loro privato guadagno.
Le grandi industrie infatti investono sulla produzione e la distribuzione di massa di prodotti a basso prezzo acquistabili dalle persone con difficoltà economiche: ciò che potrebbe sembrare una soluzione alle esigenze degli strati più poveri della popolazione, innesca però un circolo vizioso per cui tali aziende prendono il controllo di specifiche aree e ne controllano il mercato eliminando la concorrenza, cosicché non siano disponibili altre opzioni se non quella di acquistare i loro prodotti poco salutari e molto processati. Questo porta le persone che sono immerse nei deserti alimentari a portare avanti una dieta squilibrata che ha gravi conseguenze sulla salute, provocando obesità e diabete, e quindi morti premature.
In questo ragionamento bisogna tener conto anche del ruolo che giocano i governi di tali paesi: se da una parte ci sono aziende private che, purtroppo, mettono i guadagni davanti alla salute pubblica, dall’altra ci sono le autorità che assumono un atteggiamento di inerzia politica di fronte a questo fenomeno, che rappresenta il punto nevralgico di un acceso conflitto di interessi che coinvolge il guadagno e l’arricchimento del mercato alimentare e la salute pubblica. Dove i cittadini non vengono tutelati dai piani alti, si sviluppano associazioni e realtà indipendenti che cercano di arginare il fenomeno aprendo nelle zone dei deserti alimentari piccoli negozi di frutta, verdura, carne e pesce a prezzi più accessibili, offrendo alle persone la possibilità di compiere una scelta libera per quanto riguarda la propria dieta: il problema infatti non è il consumo in sé dei cosiddetti “cibi spazzatura”, ma il fatto che tale consumo sia frutto di un obbligo implicito a causa della mancanza di altre opzioni, mettendo a rischio la salute delle persone che sono costrette a praticare questo stile di vita.
Sveva Fascetti (classe 3A – liceo classico)

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