Critica ai Partigiani
Tra poche settimane sarà il 25 aprile, festa della Liberazione dal fascismo raggiunta da partigiani e Alleati. Ancora una volta sentiremo la classica polemica sui partigiani: ci sarà chi dice che erano una forza democratica che ha salvato l’Italia, e chi li liquiderà come criminali. Poi ci saranno i comunisti, che si allineeranno al primo gruppo, solo in modo più radicale. Va detto però che tra i comunisti questa posizione non è così scontata: ci sono gruppi e autori che l’hanno avversata, come la sinistra comunista italiana di Amadeo Bordiga sul piano politico e poi sul piano storico Romolo Gobbi, nel il suo saggio “Il Mito della Resistenza”. Quest’opera riporta una visione diversa relativa agli anni della guerra civile italiana 1943-1945. Gobbi si chiede innanzitutto: “Chi erano i partigiani?” La storia ufficiale ci narra che l’adesione al movimento dei partigiani fu una scelta fatta da una larga fascia della società, i comunisti lasciano intendere che la partecipazione degli operai sia stata grande. Gobbi nella sua opera dimostra che i partigiani arrivavano soprattutto da un singolo gruppo: i renitenti alla leva. Il governo fascista aveva tentato di reclutare tutti i giovani che non lavoravano, chi voleva sfuggire alla coscrizione doveva unirsi ai partigiani, con loro il rischio di combattere era minore. Quando il governo fascista proclamò l’amnistia il numero dei partigiani diminuì.
La narrazione comunista tradizionale della guerra partigiana afferma che gli operai furono parte integrante della Resistenza, aderendo in massa e combattendo nelle fabbriche; addirittura, si dice che la Resistenza iniziò con gli scioperi di fabbrica del 1943 nel nord Italia (tesi sostenuta, tra gli altri, da Alessandro Barbero). Gobbi però mette in crisi questa narrazione, dimostrando che gli scioperi di quel periodo in Italia sono sempre stati causati da ragioni economiche, e non da una convinzione antifascista da parte degli operai. A questo si aggiunge che gran parte della borghesia supportava gli Alleati, era perfino in contatto con loro. Contro chi vuole inquadrare la resistenza come un fenomeno di lotta di classe tra il proletariato partigiano e la borghesia fascista, Gobbi propone una visione diversa: la Resistenza sarebbe stata una lotta tra l’imperialismo anglo-americano e quello tedesco, in cui la borghesia si è schierata con gli Americani e il proletariato ha combattuto principalmente sul terreno economico, senza partecipare in massa alla Resistenza.
Il mito glorificatore della Resistenza, secondo l’autore, sarebbe conseguenza del fatto che il mondo della cultura è stato occupato per anni da ex partigiani, che hanno tramandato una visione distorta della storia. Gobbi fa un’ulteriore riflessione: l’unità delle forze antifasciste ha portato a una spartizione del potere in Italia tra i “comunisti” comandati dall’Unione Sovietica e la Democrazia Cristiana, a suo parere impedendo la formazione di una sana conflittualità e bloccando la democrazia. Propone quindi di abbandonare il mito della Resistenza, spostando la lotta sul terreno della lotta di classe.
Valerio d’Amato (classe 3B – liceo classico)
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