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Il Congo e l’economia di guerra

20 Marzo 2021 by admin_rapsodia Lascia un commento

Un paese immenso, grande quanto l’intera l’Europa occidentale, colmo di ricchezze naturali e minerarie come pochi altri angoli del pianeta: oro, cobalto, nichel, rame, coltan, petrolio, diamanti. Eppure, o forse proprio per questo, sempre tormentato da una guerra civile, in mano a centinaia di bande criminali e di vere e proprie milizie pronte a tutto pur di difendere, e magari incrementare, la propria rendita di posizione generata dal controllo del territorio. Organizzazioni spesso manovrate da multinazionali estere che hanno estremo bisogno di manovalanza paramilitare a bassissimo costo per tutelare i propri interessi.

Questa è la Repubblica Democratica del Congo, dove più della metà degli 84 milioni di abitanti vive in stato di assoluta povertà, con un PIL pro-capite nel 2018 di circa 560 dollari (uno tra i più bassi al mondo) e con un reddito medio di un dollaro e mezzo al giorno. Dove si muore di fame, per guerra, o soltanto per professare la religione sbagliata. Soprattutto nelle terre dell’Est, nella provincia del Kivu, terra dei Grandi Laghi e di aree naturali, tra le più ricche e attraenti del paese, con i preziosissimi minerali che abbondano. Si combatte quotidianamente, senza alcun vero controllo da parte delle autorità nazionali: bande rivali, spesso improvvisate, che impongono con la violenza le loro regole alla popolazione locale, ridotta allo stremo. Ed è qui che si concentra il maggior numero di atrocità commesse: delitti, rapimenti, stupri di massa. 

La zona del Kivu è da almeno 25 anni uno degli epicentri dell’instabilità congolese, teatro di guerre feroci, dove almeno venti diversi gruppi etnici, ciascuno con le proprie milizie, combattono tra loro e contro le forze governative (e talvolta anche contro i Caschi Blu della missione Onu Monusco) al solo scopo di controllare il territorio e le sue risorse. Il tutto aggravato dal problema della frammentazione etnica, dalle interferenze dei paesi confinanti (Ruanda, Uganda, Burundi), dalla ferocia della guerra tra Hutu (popolo) e Tutsi (aristocrazia) che dal Ruanda si è propagata anche nei paesi limitrofi, dalle infiltrazioni sempre più intense di gruppi jihadisti  che sfruttano le fragilità economiche e sociali delle popolazioni per infiltrarsi nella regione.

La religione è soltanto uno dei pretesti. Il vero obiettivo sonoi tesori del Congo, le sue ricchezze: oro e diamanti, uranio e cobalto, argento e cadmio, coltan e petrolio. Un tesoro enorme che fa gola a molti paesi. Per fare un esempio: il coltan (una miscela di columbite e tantalite) è indispensabile per ridurre il consumo di energia elettrica nei chip di nuova generazione e aumentare la durata delle batterie. È quel coltan che abbiamo tutti noi: nei computer, nei telefoni, nelle telecamere. La funzionalità di ogni apparecchio elettronico dipende proprio dal coltan: più alta è la percentuale più il materiale sarà pregiato. Il coltan viene anche utilizzato nell’industria aerospaziale per fabbricare i motori degli aerei, per i visori notturni, per realizzare fibre ottiche.

Ma il coltan contiene anche una parte di uranio: quindi è radioattivo, può provocare tumori e impotenza sessuale. E in Congo, spesso, si estrae scavando a mani nude. Spesso grazie a bambini ridotti in schiavitù (se ne calcolano circa 35mila, ma i numeri reali potrebbero essere enormemente più grandi) che riescono a infilarsi nei cunicoli più stretti e a portare alla luce il prezioso materiale. Dieci-dodici ore di lavoro, in cambio di un salario giornaliero che può variare da 50 centesimi a 3 dollari, a seconda del datore di lavoro. Miniere spesso a cielo aperto, dove si scava fino a venti, trenta metri di profondità senza alcun rispetto per chi lavora , senza alcuna attenzione alla sicurezza. Miniere che alla minima pioggia possono trasformarsi in fosse di fango, e basta uno smottamento o perdere una presa per essere inghiottiti e morire. 

Ogni materiale prezioso ha il suo mercato di riferimento. Per il coltan e il cobalto è principalmente la Cina (con un’intermediazione del Ruanda). L’oro invece viene portato illegalmente in Uganda e in Ruanda dalle bande ribelli; da lì esportato in Sudafrica o a Dubai, dove viene raffinato e trasformato in lingotti da destinare ai mercati finali: Stati Uniti, Europa, Cina, India. Le multinazionali dominano e finanziano i gruppi armati in grado di controllare così porzioni del territorio. Lì nel sottosuolo del Congo c’è di tutto: basta estrarlo, o farlo estrarre, al minor costo possibile. Per impossessarne si è combattuta, tra il 1998 e il 2003, la “Prima guerra mondiale africana”: nove Stati coinvolti, oltre cinque milioni di morti, centinaia di fazioni armate controllate dagli stessi paesi coinvolti e da altri, più lontani e sviluppati.

Il Congo è l’esempio forse più significativo di quello che è oggi la situazione dell’Africa. Paese ricchissimo per le immense risorse del sottosuolo, non trova una via per uscire dalla situazione di mancato sviluppo economico e sociale. In Africa si intrecciano purtroppo ancora oggi svantaggi d’ogni forma e tipologia che ostacolano l’assunzione di programmi coerenti e universali. L’assenza di una diffusa istruzione, la mancanza di una pianificazione economica, la presenza di guerriglie interne animate unicamente dall’ambizione di possedere i territori più ricchi e la corruzione molto diffusa, capace di insinuarsi nella politica, crea accordi illegali con i Governi occidentali, dei quali alcuni già grandi potenze coloniali, sono solo alcuni dei motivi che alimentano l’incapacità di assicurare il decollo della locale economia ed il progresso sociale.

Tobia Fabeni  (4 b afm Iis Galilei- Pacinotti)

Corso di “Geopolitica e analisi dei conflitti internazionali”

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