“Dichiariamo la città di Damasco liberata dal tiranno Bashar al Assad”. Così scrive su Telegram l’8 dicembre il gruppo ribelle siriano Hts. Queste poche parole hanno un effetto immediato su tutti i Siriani, che si riversano trionfanti per le strade.
Bashar al Assad era l’ultimo erede della famiglia al Assad, che per 50 anni ha controllato la Siria in un regime di paura e oppressione: se la scalata verso il potere era iniziata da Hafez, il padre di Bashar, in quanto affiliato al partito arabo socialista Ba’th, questo ha gradualmente perso le originarie ideologie diventando la maschera dietro cui si nascondeva un regime autoritario e assolutistico. Ma per mantenere il potere non è bastato un forte controllo delle opposizioni tramite un apparato statale militarizzato e un rigido controllo sociale: fondamentali per la sopravvivenza della famiglia al Assad sono stati gli appoggi di stati esterni, in particolare la Russia, che è stata disposta ad aiutare il regime in cambio di importanti basi navali, e l’Iran, che contava sul suo appoggio per affermare il controllo di Hezbollah sul paese. Le due potenze esterne avevano iniziato ad abbandonare la famiglia al Assad per concentrare le forze nei conflitti di cui si vedono protagonisti, rispettivamente contro Ucraina e Israele, ed è stata proprio la mancanza di questo fondamentale sostegno a fornire alle forze ribelli l’occasione di ribaltare Bashar: il gruppo islamista jihadista Hayat Tahrir al Sham è partito dalla sua base di Idlib conquistando in circa una settimana le città di Aleppo, Hama e Homs e giungendo infine nella capitale Damasco, dalla quale il presidente Bashar al Assad è dovuto fuggire, chiedendo asilio in Russia. Hts si dichiara promotore di una nuova democrazia che possa ridurre la frammentazione interna dei numerosi gruppi religiosi e favorire il benessere dei cittadini partendo da una restaurazione dell’amministrazione dei servizi pubblici e delle politiche economiche. Con la promessa di una nuova libertà, i cittadini siriani riconquistano le proprie strade, che sono state a lungo testimoni di silenzi costretti e voci soffocate con la violenza: in seguito alla conquista di Damasco, migliaia di persone è accorsa nelle numerosi carceri del paese, l’incarnazione dell’oppressione politica, dove i prigionieri erano costantemente torturati e vittime di violenza, costretti in celle sovraffollate senza luce, in cui una volta entrati non si sarebbe più usciti. Molti sono entrati per liberare i concittadini, altrettanti hanno aspettato fuori cercando di riconoscere fra la folla i volti di parenti o amici che erano scomparsi da lungo tempo. Forse non tutti hanno ritrovato chi stavano cercando (numerose sono le vittime delle dure carceri siriane, spesso chiamate “mattatoi umani”), ma è certo che ognuno sente di aver riacquisito la speranza di una Siria libera e sicura.
Sveva Fascetti (classe 3A – liceo classico)
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