Dal 1 al 6 maggio alcuni studenti della nostra scuola hanno avuto la possibilità di partecipare al Pellegrinaggio della Memoria. Il viaggio ha permesso di visitare gli ex campi di concentramento di Dachau, Ebensee, Mauthausen e Gusen, oltre al Castello di Hartheim, centro di eutanasia ideato dal regime per portare avanti l’operazione T4, volta allo sterminio dei disabili. Tutti i ragazzi e le ragazze sono tornati dal Pellegrinaggio molto colpiti, e hanno voluto esprimere con queste parole i loro pensieri riguardo questa toccante esperienza.
“Le mani che hanno toccato quelle pietre, gli occhi che hanno visto ciò che resta di quel terrore sono riuscite a trasmettermi qualcosa che non mi scorderò mai. La tristezza, la rabbia, la compassione e molti altri sentimenti alleggiano dentro di me in questi giorni e dovrà trascorrere un po’ di tempo prima che io riesca metabolizzare tutto. Un’impronta è stata impressa sul mio cuore, un’impronta che ha raggiunto la mia anima e che nessuno mi potrà mai togliere. Le brutalità che sono state commesse a degli esseri umani non devono essere dimenticate, la memoria é un’arma molto potente che deve essere usata nel modo corretto. Perché come le parole di Primo Levi esprimono: “se comprendere è impossibile, conoscere necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre””, commenta Giulia Grechi (5B).
“Sono tante le cose che mi hanno colpita in questi giorni di un pellegrinaggio che ho sempre voluto e sentito il dovere di fare, a livello umano e civico. In particolare mi ha fatto riflettere molto una frase di Laura Geloni, secondo cui essere antifascisti significa ripudiare e disprezzare ogni forma di intolleranza e violenza verso ciò che è definito diverso, in memoria delle atrocità che ai campi di sterminio erano all’ordine del giorno”, spiega Aurora Giordani (4C). “Atrocità di cui ho visto le tracce indelebili con i miei occhi, atrocità che mi sono state raccontate dai miei familiari e che sono state tramandate nella mia famiglia attraverso nonni, zii e amici. Alfredo Consani, classe 1909, era lo zio di mia nonna Carla. Di lui, morto molti anni prima che io nascessi, fin da piccola, mi raccontavano che non si era mai sposato, che era molto buono e lavorava con grande passione nel panificio di famiglia. Ma i miei familiari lo definivano anche “un po’ strano”; questo personaggio mi ha sempre incuriosita, perché percepivo che c’era un mistero intorno a quella stranezza, che, da piccola, non mi venne mai svelato. All’età di dieci anni, finalmente, conobbi la verità: quando era poco più che ventenne, lo zio Alfredo fu deportato in un campo di concentramento in Germania – non abbiamo mai saputo quale. Partì che era forte, fidanzato con una “bella ragazza di Lucca”; tornò dopo due anni, e non era più l’Alfredo che tutti conoscevano. Lui, a differenza di altri miei antenati, non raccontò mai nulla, ma la notte, appena si addormentava, urlava, sudava e aveva incubi tremendi, quindi preferiva rimanere sveglio a fare il pane. Nessuno della famiglia, rispettando la volontà dello zio di non parlarne, gli ha mai chiesto cosa avesse visto e sofferto in quei due anni in Germania. Tuttavia, mia nonna e i suoi familiari lo capirono dalle frasi che urlava nel sonno. Ecco, credo che sia anche per la storia di Alfredo che, da grande, ho deciso di non tralasciare la memoria di quello che avvenne negli anni Quaranta del ventesimo secolo. Ho deciso, nel mio piccolo, di essere antifascista. Da circa un anno ho l’onore di collaborare con l’ANPI e con la scrittrice e psicologa Susanna Baldi, leggendo in pubblico racconti tratti dal suo libro “Storie di madri”, che raccoglie le testimonianze di Leonarda Papa sulla strage del paese di Vinca, vicino a Carrara, consumatasi tra il 24 e il 27 agosto del 1944 e famosa per il “tiro al pettirosso”, l’uccisione dei neonati di cui parlava Laura l’altro giorno. Durante gli incontri che organizza, Susanna Baldi ripete sempre che “la memoria cura”: prima di questi incontri e di questo pellegrinaggio non avevo mai veramente creduto che la memoria potesse curare. Anzi, pensando allo zio Alfredo, agli ex deportati e ai loro figli, ritenevo che soprattutto ricordare qualcosa di doloroso e traumatico, magari qualcosa che il cuore di molti, con il passare degli anni, ha oscurato alla memoria, portasse solo a sofferenza, non a una cura. Ora, soprattutto alla fine di questo viaggio, so che solo ricordando a se stessi e agli altri le atrocità, coloro che hanno appreso le testimonianze potranno mantenerle vive tramandandole alle generazioni successive, a tutte e tutti noi presenti qui oggi, come un prezioso dono, affinché gli errori della Storia non si ripetano. La memoria è come una medicina dal valore inestimabile e la sua diffusione e il suo effetto dipendono da noi, e da essa dipende il futuro: quindi non sprechiamo l’opportunità che ci è stata data di mantenerla viva. Ricordiamo chi è morto per darci la libertà di mantenerla viva. Siamo antifascisti”.
“Non saprei bene che parole usare per descrivere questa esperienza, forse perché non ho ancora metabolizzato del tutto ciò che ho visto e sentito in questi giorni, ma cercherò di riassumere le emozioni provate e le riflessioni che ne sono scaturite”, risponde Giulia Liut (4C). “Questo viaggio mi ha mostrato fino a dove può spingersi la cattiveria dell’uomo e le cose orribili che quest’ultimo è in grado di fare. Le testimonianze che mi sono state riportate mi hanno spezzato il cuore ma mi hanno reso più consapevole di una realtà storica difficile da comprendere: nonostante la preparazione fatta a scuola, non credo si possa mai essere abbastanza pronti per visitare questi posti, ma stando qui mi rendo conto di quanto sia effettivamente necessario vedere con i propri occhi la storia per poterla capire veramente. Ho conosciuto delle persone forti qui, persone con un alto senso del dovere, della responsabilità, con una morale e dei valori che è necessario proteggere e tramandare, oggi e ogni giorno, senza mai darli per scontati: valori come la libertà, la solidarietà, la democrazia, che se oggi possiamo rivendicare, è solo grazie a chi ha avuto il coraggio di sacrificarsi per i propri ideali. Forse mi sento di dire che questo pellegrinaggio mi ha lasciato una nuova responsabilità e una consapevolezza differente, facendomi capire che ciò che è avvenuto nei campi che abbiamo visitato non deve limitarsi a rimanere nei nostri ricordi, ma deve diventare un tassello nostro e dobbiamo farci portavoce di un messaggio di pace universale. Laura ci ha fatto notare che sul cielo di Dachau non volano uccelli, e vorrei tanto che, ad oggi, fosse l’unico posto dove questo accade”.
“Dolore, fame, sete, paura. Questo è quello che mi è rimasto più impresso in questi giorni di pellegrinaggio. Ma anche speranza, fraternità e amicizia. Queste secondo me consentono di vedere questo sterminio con un’ottica differente. Sono le parole che trasmettono i valori più importanti della nostra vita e che oggi come non mai dobbiamo tenerle bene a mente per non rendere vani gli sforzi di quei disgraziati. Ho imparato che anche un piccolissimo sforzo verso il prossimo può esprimere questi valori. Ma ho capito anche che la parola vendetta deve finire nel dimenticatoio. Ce lo mostrano gli scontri di quest’oggi, che confermano che la violenza non si risolve con ulteriore violenza. E secondo me”, commenta Pietro Bacchereti (4C), “è necessario che ognuno di noi si stampi nella memoria questa idea per non cadere in questa trappola rovinosa”.
“Un terribile eco dal passato riecheggia nel silenzio di quelli che un tempo furono i lager nazisti, un pesante ammonimento di fino a che punto può spingersi la volontà umana quando guidata dall’odio dimentica i propri valori fondamentali, su tutti la solidarietà e la fratellanza. Il Viaggio della Memoria ci ha avvicinato a tutto ciò in prima persona, lasciandoci nell’animo un ricordo indelebile, pesante, seguito in un primo momento da un senso di vuoto e stordimento schiaccianti, poi anche dalla consapevolezza che nel buio più assoluto qualcuno ha deciso di resistere senza mai spegnere la propria scintilla di coraggio e speranza sacrificandosi in nome degli ideali in cui credeva, per un futuro migliore. Dentro di noi continueranno a vivere in eterno le tremende testimonianze di chi quell’inferno l’ha vissuto e ha trovato la forza di raccontarlo affinché tutti potessero conoscerlo, per non farlo scivolare nell’indifferenza e nell’oblio in cui molti lo vorrebbero confinare. Sarà nostro compito d’ora in avanti contribuire a tramandare questi ricordi, essendo noi ora diventati testimoni di luoghi destinati a scomparire nel tempo, ma che devono assolutamente restare presenti nella coscienza di tutti per le atrocità che hanno rappresentato. Il ricordo di quanto abbiamo visto e appreso ci lascia una nuova lente attraverso cui osservare il mondo e la vita sotto una luce completamente diversa, per sempre. Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno reso possibile questa esperienza: gli organizzatori dell’Aned e dell’Anpi, le istituzioni, la scuola e ovviamente tutti i ragazzi e i professori che vi hanno preso parte; infine un ringraziamento speciale alla signora Laura Geloni, che con i suoi commoventi discorsi ha saputo toccare i nostri cuori in profondità e ci ha accompagnato con grandissima dedizione per tutta la durata del viaggio”, conclude Dario Gemmi (5C).
Giulia De Ieso (classe 5B – liceo classico)
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