Non tutti coloro che vincono sono eroi, non tutti coloro che vengono sconfitti sono perdenti: quest’ultimo è il caso di Giacomo Matteotti.
È il 30 Maggio del 1924, quasi due mesi dopo le elezioni nazionali del 6 Aprile che pare abbiano premiato il partito di Benito Mussolini con il 66,3% del consenso, quando l’On. Matteotti, rieletto recentemente segretario del PSU, partito socialista unitario, pronuncia davanti alla Camera dei Deputati il suo discorso più celebre e anche forse il più fatale e contesta pubblicamente la validità delle elezioni, condannando il clima di brogli politici e violenze perpetrate dalla polizia politica fascista durante le votazioni; per poi pronunciare le ultime parole, teatrali ma vere, rivolto solo ai suoi compagni di partito “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. La richiesta dell’On. Matteotti di vedere invalidata l’elezione di almeno un minimo dei neoeletti deputati fascisti non verrà approvata alla camera, con ben 285 voti contrari, 57 favorevoli e 42 astenuti, eppure Matteotti è ormai diventato il primo nemico del governo fascista. A testimonianza di ciò, il giorno dopo, sulla prima pagina de Il popolo d’Italia, periodico politico fondato da Benito Mussolini dieci anni prima, ecco comparire un articolo scritto in segreto dallo stesso capo del governo, dove l’Onorevole Matteotti viene definito un “masnada”.
Con il passare dei giorni la situazione del neogoverno sembra peggiorare sempre più, complice anche un nuovo scandalo di corruzione che incrimina il fratello del capo del consiglio, Arnaldo Mussolini. Il clima si fa sempre più teso, ancor più quando l’On. Matteotti disdice un viaggio che doveva intraprendere verso Vienna con la moglie e si iscrive alla lista di coloro che devono pronunciarsi in Parlamento il pomeriggio del 10 giugno di quello stesso anno. Un discorso nel quale il segretario del PSU, avrebbe dovuto presentare le prove delle accuse mosse al governo, delle parole che avrebbero potuto far crollare il fascismo impedendogli di instaurarsi come dittatura e rendendo diversa la storia del nostro Paese, un intervento parlamentare che non si terrà mai … Matteotti non si presenta in Parlamento, e il giorno successivo, l’11 giugno del 1924, sulle prime pagine di tutte le testate giornalistiche dell’epoca compare la stessa notizia: l’On. Matteotti è improvvisamente scomparso nel nulla. Fin da subito iniziano a circolare i primi sospetti che vedono nella sparizione del segretario del PSU un rapimento avvenuto per ordine dello stesso Benito Mussolini, il quale dichiarerà in un primo momento di esserne rimasto ignaro fino alla sera del’11 giugno. Ma facciamo qualche passo indietro, sono le 16.45 del 10 giugno, Matteotti ha abbandonato la sua casa nel quartiere Flaminio per recarsi a palazzo Montecitorio, quando, come testimoniato successivamente da due ragazzini, da un veicolo “nero ed elegante” scendono due uomini e aggrediscono l’onorevole quando quest’ultimo si trova nei pressi dell’auto, necessitando però dell’intervento di un terzo individuo prima di riuscire a caricarlo a forza in auto. Successivamente si scoprirà che i sequestratori presenti sulla Lancia Kappa sono tutti membri della polizia politica fascista, identificati come Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria, Amleto Poveromo. Nessun lieto fine per Matteotti, nessuno verrà a salvarlo ne’ morirà come un eroe dopo aver a lungo combattuto; la rissa che lo vede schierarsi contro cinque uomini, tutti più in salute di lui, continua infatti anche all’interno dell’abitacolo della vettura, quando questa sfreccia via dal centro storico di Roma. Nel corso di questa violenza l’Onorevole riesce a gettare il suo tesserino parlamentare, poi ritrovato da due contadini fuori dall’autovettura, giusto in tempo prima di essere accoltellato sotto l’ascella e al torace da uno dei suoi rapitori e morire dopo lunghe ore di agonia. Il cadavere di Matteotti verrà scoperto a Riano solo due mesi dopo, il 12 agosto, da un brigadiere dei carabinieri in seguito al ritrovamento di una giacca insanguinata che fin da subito si suppone appartenesse alla vittima. Il 19 agosto, dopo tutti gli accertamenti medici necessari, il cadavere parte da Monterotondo su un treno notturno diretto a Fratta Polesine, suolo natio di Matteotti, alle sei del mattino del giorno successivo, sul quale non viaggia nessun membro del PNF, così come richiesto dalla vedova del morto. Nel corso del viaggio e dei funerali molte persone si raccolgono in lutto per salutare colui che da alcuni viene visto e considerato il primo morto e martire di quello che sarà il ventennio dittatoriale fascista in Italia.
Il 3 gennaio del 1925, in Parlamento davanti a nemici e alleati, Benito Mussolini, dopo aver in un primo momento smentito qualsiasi coinvolgimento nel delitto, recita un discorso dalla retorica eccellente ma che nasconde dietro una verità crudele seppur non tanta celata; davanti alla classe politica italiana il capo del governo si prende la responsabilità del contesto violento che ha portato all’assassinio dell’ On. Matteotti, senza però rivelarsi pubblicamente mandante di tale assassinio, come invece sarà dichiarato nei memoriali di due suoi complici.
La verità sul caso Matteotti, seppur sospettata da alcuni e conosciuta da altri, si rivelò per il PFN una minaccia all’inizio molto potente, ma in seguito perse la sua carica, anche a causa dell’omertà e del silenzio del sovrano, Vittorio Emanuele III. Il desiderio del monarca di non intromettersi in questioni tanto delicate e scottanti fece ben presto intuire a Benito Mussolini di avere ormai palesemente la libertà necessaria e basi solide per poter instaurare una dittatura dove non esisteva alcuna opposizione politica.
Una lotta sleale, regime contro oppositore, potere contro dissenso, Golia contro un Davide che però non ha la sua fionda. Chi scrive non saprebbe dire quale arma avrebbe potuto salvare Matteotti, perché, come dicono gran parte dei docenti, “la storia non si fa con i se”, ma sicuramente nessun uomo dovrebbe esprimere le proprie idee con consapevolezza certa che questo gli costerà la vita. Diventa dunque importante per noi, in qualità di cittadini, garantire ad ogni individuo il diritto di espressione e parola qualsiasi sia la sua opinione, qualsiasi siano le differenze ideologiche.
Nicole Schiavone (classe 4C – liceo classico)
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