Lunedì 5 febbraio si è tenuto nell’aula magna del Liceo Classico Galilei di Pisa, nell’ambito del progetto Contemporanea..mente, un incontro degli studenti dell’Istituto Tecnico Pacinotti con Sergio Ferrari per avere una testimonianza storica diretta e per sapere di più sulla sua esperienza personale come detenuto politico nel Carcere di Coronda durante la dittatura argentina 1976-1983.
Coronda era una prigione di massima sicurezza, nella provincia di Santa Fe, a 400 km dalla capitale Buenos Aires. Le giornate trascorse nelle celle erano sempre uguali: 23h completamente isolati in una cella di 3,80 mt x 4,30 mt e 1h d’aria durante la quale non si poteva parlare con i compagni.
L’obiettivo della reclusione era realizzare l’isolamento totale dei detenuti rispetto al mondo esterno. In base al regime carcerario tutto era proibito; l’intento era quello di provocare la distruzione fisica, psicologica e ideologica dei detenuti politici.
Su un totale di oltre 11.000 persone incarcerate dalla dittatura militare per motivi politici, vale a dire senza aver commesso reati, 1.153 sono state detenute nel Carcere di Coronda fra il 1974 e il 1979, per evitare il disturbo e l’ostacolo che potevano rappresentare nei confronti della dittatura. L’obiettivo, come veniva detto loro, era quello di farli uscire dalla prigione “o matti o morti” anche attraverso la negazione dei diritti umani, ma vedremo in seguito con quali mezzi e strategie.
Quando Sergio Ferrari ha vissuto questa realtà era un ragazzo come noi e insieme ai suoi compagni carcerati si è trovato di fronte a una difficile decisione:
- accettare la situazione imposta che consisteva in un “suicidio collettivo”;
- escogitare dei metodi per resistere al regime in questa folle situazione.
Hanno scelto la seconda possibilità e hanno elaborato vari metodi, alla base dei quali c’erano sempre la fraternità, l’umanesimo e la lotta collettiva, senza i quali sarebbe stato impossibile sopravvivere in quelle condizioni.
Tra i metodi escogitati da Sergio e i suoi compagni abbiamo “el periscopio”, parlare attraverso le finestre, parlare attraverso il water, codice morse, radio e lingua dei segni.
“El periscopio”
Era un piccolo strumento formato da un pezzettino di vetro con sopra la mollica del pane impastata che, mischiata alla cenere di sigarette, fungeva da specchio; veniva poi legato ad un filo di saggina e fatto passare sotto la porta in modo da vedere se nel corridoio c’erano le guardie. Se non c’erano, iniziavano le “attività di resistenza”, ovvero tutto ciò che era proibito, come la condivisione di conoscenze e competenze attraverso lezioni informali e conversazioni, l’elaborazione di strategie per mantenere la propria dignità e integrità morale nonostante le condizioni carcerarie, ma anche semplici azioni quotidiane in quanto all’interno del Carcere di Coronda tutto era proibito.
Finestre
Quando le guardie non erano nel corridoio, i detenuti parlavano con i compagni delle celle vicine attraverso le finestre (senza potersi vedere). In questo modo socializzavano e raccontavano come si sentivano, facevano corsi di filosofia, storia, cinema, sociologia, materialismo storico e altro.
Water
Un altro metodo per parlare tra di loro, era quello di dialogare attraverso il water, poiché avevano notato che i vari tubi delle celle erano collegati.
Codice Morse
Un altro sistema di comunicazione era il Codice Morse, cioè attraverso dei piccoli colpi sul muro. Era un modo lento ma il tempo sicuramente non mancava loro.
Radio a batteria
Dopo il colpo di stato, i prigionieri politici si sono trovati in questo carcere di massima sicurezza completamente isolati dal mondo per un anno: non potevano avere visite da parenti e amici e avevano perso il senso della realtà esterna.
Un detenuto aveva però nascosto una radio a batteria dietro il lavabo della cella con un complesso stratagemma e la notte ascoltava le notizie, che poi faceva girare attraverso il passaparola. Una volta che la notizia giungeva all’ultima persona, questa ritornava al mittente e spesso non coincideva esattamente con quella partita, insomma facevano una sorta di gioco del “telefono senza fili”.
Lingua dei segni
Questo sistema veniva utilizzato quando ad esempio dovevano andare nell’ospedale del carcere e quindi si trovavano in fila indiana con le mani dietro e le manette.
Praticamente consisteva nel fare dei gesti per parlare con il compagno dietro, il quale però non poteva rispondere a quello davanti perché essendo di spalle non avrebbe potuto vederlo. Ma la cosa importante era dimostrare di essere vivi e di resistere, ogni minuto di comunicazione era una piccola vittoria contro il regime brutale che la dittatura aveva imposto in questa prigione.
Esperienza di solidarietà
Una notte a un prigioniero asmatico è venuto un attacco e non aveva con sé le sue medicine perché il giorno prima le guardie durante la perquisizione gliele avevano sequestrate tutte.
Lui ha aperto la finestra e ha comunicato al vicino la sua paura di morire, attraverso il passaparola si sono svegliati tutti e un compagno che aveva l’inalatore glielo ha fatto arrivare legando un filo trasparente attorno alla medicina e facendola dondolare e passare da finestra a finestra, stando attenti a evitare i riflettori che venivano puntati su di esse per controllare che non ci fossero strani movimenti.
Da questo esempio emerge quanto la fraternità e la solidarietà si siano rivelate decisive per la sopravvivenza.
Libro
20 anni dopo essere usciti, 70 ex detenuti si sono riuniti per scrivere le loro memorie e testimonianze in un libro che è stato tradotto anche in italiano con il titolo “Grand Hotel Coronda”. È un’opera collettiva e anonima: scritta da 70 ex detenuti e in forma anonima in modo che nessuno possa appropriarsi individualmente di una storia collettiva
Domande degli studenti
L’incontro si è concluso con le domande da parte di alcuni studenti.
Qualcuno ha mai provato a fuggire dalla prigione?
La risposta è sì, hanno elaborato un piano, ma quando hanno provato a metterlo in pratica, sono stati scoperti e i responsabili presi e torturati, con ripercussioni su tutti gli altri detenuti.
Visite degli esterni: come funzionavano, durata, ecc…
Dopo il primo anno di isolamento totale, veniva concessa loro una visita di 15 minuti ogni 45 giorni ed era facilissimo perdere l’opportunità. Inoltre, le perquisizioni degli esterni erano brutali e nonostante non potesse avvenire nessun contatto fisico con i detenuti, spesso si parlava di ispezione agli organi sessuali delle donne durante le perquisizioni. Anche questa era una tortura psicologica contro i detenuti, basata sul senso di colpa.
Come faceva chi non conosceva il codice morse?
I prigionieri che lo conoscevano hanno insegnato il codice morse e ulteriori metodi agli altri (es. di solidarietà umana).
Venivano trasferiti da cella a cella?
Il trasferimento di celle era costante per evitare un’organizzazione interna al padiglione.
Hanno mai provato a farsi amiche le guardie?
Sì, abbiamo provato a parlare con alcune guardie che sembravano più aperte, ma il regime era molto compatto e la direzione imponeva guardie severe.
Nel 2018 gli autori del libro hanno aperto un processo giuridico contro alcune guardie e il direttore e hanno vinto: sono stati condannati per crimini contro l’umanità.
Quali sono state le ripercussioni psicologiche, i traumi dovuti alla reclusione in uno spazio così piccolo?
Coronda aveva come obiettivo fare uscire tutti da lì “o pazzi o morti”, ma nonostante ciò una grande quantità di prigionieri è uscita abbastanza lucida, diciamo “abbastanza” perché è difficile comprendere fino a dove arriva un trauma. Infatti Sergio, anche dopo molti anni ogni sei mesi faceva un incubo sempre sulla prigione; l’ultimo è stato dieci anni fa e ha sognato di essere in una cella con suo figlio che gli chiedeva quando sarebbero potuti uscire di lì. Invece, suo fratello Claudio ha tentato due volte il suicidio mentre era in prigione e una volta uscito è andato in depressione. Questo per dire che una situazione così traumatica marca sempre a fuoco ogni essere umano.
Come si è sentito a scrivere questo libro, a rivivere quindi l’esperienza passata?
È stato molto importante ripensare a ciò che è stato vissuto. Il libro è nato dalla proposta di un ex detenuto e scrivere la loro storia è stato anche un modo per dare voce a tutti i desaparecidos (in italiano: scomparsi), ovvero a quelle persone arrestate o sequestrate dal regime militare in modo segreto o illegale, e delle quali non si hanno più notizie.
Conclusione
Da questa crudele vicenda possiamo trarre un importantissimo messaggio: nessuno si salva da solo e l’unità e la forza collettiva sono indispensabili per andare avanti nonostante tutto.
In un mondo ancora oggi segnato da divisioni e conflitti, è cruciale riconoscere che nessuno può affrontare le avversità da solo.
In particolare, l’esperienza vissuta da Sergio nel Carcere di Coronda in Argentina, paradigmatica delle violenze della fase delle dittature militari che hanno insanguinato il Sudamerica negli anni ’50, ’60 e ’70 del ‘900, offre una prospettiva che ci rivela l’importanza dell’unità e della forza collettiva di fronte all’oppressione. In un contesto in cui i regimi dittatoriali cercavano di dividere e isolare gli individui per mantenere il controllo del paese, la solidarietà tra i detenuti si è dimostrata fondamentale. Attraverso la condivisione di risorse, conoscenze e sostegno emotivo, i prigionieri hanno potuto resistere alle violazioni dei diritti umani e preservare la propria dignità. Pertanto, riconoscere che nessuno può resistere alle vessazioni e alle violenze da solo ci spinge a cercare l’unione e la solidarietà come pilastri fondamentali per costruire un mondo dove la forza della comunità permette di superare anche le sfide più difficili.
Sara Piacenti (classe 2A AFM – ITE)
Sergio Ferrari dice
Cara Sara
Excelente tu articulo! Brava e tante grazie
Sergio Ferrari