Gli ultimi quarant’anni della storia della Palestina sono pieni di eventi fondamentali per comprendere il conflitto attuale. È in essi che si sviluppano i movimenti e le forze politiche che scriveranno la storia del territorio.
Dopo la guerra del 1967 Israele aveva mantenuto l’occupazione dei territori conquistati, dove c’era stata però un’accanita resistenza, che non si era mai organizzata in un movimento politico a sé ma faceva riferimento all’OLP (insieme ad Arafat, il suo amato leader) o ai centri culturali e sociali islamici orientati attorno alle moschee. Nel ventesimo anno di occupazione, senza che la popolazione palestinese dei territori occupati di Gaza e Cisgiordania vedesse una soluzione nell’immediato futuro, c’era una situazione di profonda tensione, pronta a scoppiare da un momento all’altro: e scoppiò. L’8 dicembre 1987 a Gaza un camion dell’esercito israeliano investì e uccise quattro palestinesi; quest’evento fu visto come un tentativo deliberato di uccidere palestinesi, e iniziarono grandissime rivolte nei territori occupati. Tutti quanti, tra uomini, donne e bambini, si ribellarono contro Israele usando i mezzi che avevano a disposizione, da semplici sassi a vere armi per attaccare le forze israeliane, e tutti subirono una dura repressione; l’esercito israeliano utilizzò qualsiasi mezzo per impedire e sciogliere le manifestazioni ostili, con metodi così violenti da uccidere 240 bambini e ricevere una forte condanna internazionale. Questo movimento fu chiamato “intifada” (termine arabo per “rivolta”, “scossa”), e durò dal 1987 al 1993.
Con esso i palestinesi iniziarono a contare sulle loro sole forze e fu un altro passaggio fondamentale nella crescita dell’identità nazionale palestinese; in questo periodo oltretutto fu fondato Hamas che, insieme al gruppo della Jihad Islamica, guadagnò popolarità a causa della partecipazione alla lotta. Allo stesso tempo creò scompiglio nella società israeliana, riportando all’ordine del giorno la questione dei territori occupati, e facendo capire alla leadership israeliana che l’unico modo per trovare un accordo era rivolgersi alla leadership palestinese riconosciuta, ovvero l’OLP. Così nel 1993 si tennero vari incontri tra rappresentanti dell’OLP e del governo israeliano, che portarono alla stesura di un accordo firmato da Arafat e da Rabin, primo ministro di Israele; l’accordo, però, lasciava vari punti in sospeso, che sarebbero dovuti essere risolti in successivi incontri.
Con quegli accordi veniva sancita la nascita di un’agenzia governativa palestinese (l’ANP, Autorità Nazionale Palestinese) per la creazione di un futuro stato in Cisgiordania e a Gaza, ma nei territori sarebbero rimasti gli insediamenti di israeliani; mancava inoltre una soluzione per quanto riguardava il diritto dei rifugiati palestinesi del 1948 di tornare alle proprie case, e anche una posizione univoca dello status di Gerusalemme. Dopo l’assassinio di Rabin da parte di sionisti di estrema destra la carica di primo ministro passò nelle mani del laburista Barak, che partecipò al vertice di Camp David nel 2000 con Arafat in un tentativo di risolvere definitivamente la questione, che però fu fallimentare a causa della differenza inconciliabile di posizioni riguardo a Gerusalemme. Nello stesso anno il leader dell’opposizione di destra Sharon si presentò al Monte del Tempio, un luogo sacro per i musulmani, per riaffermare la sua volontà di impedire che venisse lasciato in mani non israeliane.
I Palestinesi organizzarono delle manifestazioni di protesta a questo atto che furono però represse nel sangue, e così ebbe avvio la seconda intifada. In questa situazione la resistenza armata dei Palestinesi fu molto più organizzata e colpì molte infrastrutture israeliane; in particolare Hamas, da sempre oppostosi al “processo di pace Oslo”, si era dotato di una forte organizzazione, che gli permise di approfittare della decadenza di Fatah (il principale partito dell’OLP, compromesso dall’aver supportato un processo di pace rivelatosi fallimentare) per aumentare i suoi consensi. Durante questa seconda rivolta, nel 2005, il nuovo governo di Sharon decise di ritirarsi unilateralmente da Gaza, volendo guadagnare il supporto internazionale ed evitare i problemi causati dall’occupazione diretta della Striscia; con questo evento, aggiungo alla morte (in circostanze mai totalmente chiarite) della figura di unità nazionale Arafat e con la decisione congiunta di sospendere le ostilità nel summit di Sharm el-Sheik, la seconda intifada si concluse, con la morte di poco meno di quattromila palestinesi e mille israeliani. Dopo la fine delle ostilità l’ANP, in mano a Fatah, si trovò ad affrontare una nuova fase politica, che prevedeva elezioni a livello nazionale. A causa della delusione e della diffidenza dei Palestinesi verso Fatah, causata dalla sua corruzione e dai fallimenti del nuovo presidente Abbas (supportato da Stati Uniti e Israele) nel fare gli interessi palestinesi, le elezioni furono vinte da Hamas, che incontrò particolare consenso nella striscia di Gaza. Presto, però, scoppiarono degli scontri tra l’ala militare di Fatah e quella di Hamas, che portarono a una scissione, con Hamas che prese il controllo di Gaza e Fatah (con l’ANP) della Cisgiordania.
Nonostante a Gaza l’esercito israeliano avesse smesso di esercitare un controllo diretto (almeno fino ai giorni odierni), Israele continuò ad avere enorme influenza sulla vita dei gazawi, controllando addirittura la quantità di calorie che entravano nella Striscia. Si sono anche succeduti vari combattimenti tra forze palestinesi e israeliane. In Cisgiordania, invece, gli insediamenti israeliani hanno continuato ad espandersi e, in virtù della loro considerazione, il territorio controllato direttamente dall’ANP rimase piccolo (solo 11% della zona), separato e comunque oggetto di incursioni israeliane, una situazione che secondo molti fu causata anche dall’accondiscendenza di Fatah. Tutto questo è fondamentale per comprendere la situazione attuale dell’ANP e i possibili sviluppi di un territorio con gli insediamenti coloniali che si espandono e la popolazione sempre più insoddisfatta.
I due articoli da me scritto sulla storia della Palestina moderna si configurano come un tentativo di riassumere gli eventi necessari a comprendere gli sviluppi recenti. A chi volesse ulteriori approfondimenti torno a suggerire la lettura delle opere di Ilan Pappe.
Valerio D’Amato (classe 2B – liceo classico)
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