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Giorni Classici 2022- Tutti i peccati, raccontati

15 Maggio 2022 by admin_rapsodia Lascia un commento

Dopo un anno di vuoto per la pandemia e le restrizioni ad essa legate, finalmente sono tornati i Giorni Classici, un appuntamento immancabile per tutti coloro che vogliono conoscere e far conoscere il Mondo della Classicità greco-romana, con brevi rappresentazioni teatrali che lo rendano fruibile alla nostra sensibilità moderna.

Il tema dell’edizione 2022 riguarda ‘I Sette Peccati Capitali’: nella religione cattolica è l’elenco dei vizi per eccellenza, ovvero di tutte le abitudini e le tendenze sbagliate e nocive per lo sviluppo morale e comportamentale della persona, che ne impediscono il raggiungimento del suo massimo potenziale, a differenza delle sette virtù cardinali che, al contrario, conducono alla piena realizzazione delle capacità dell’individuo.

Attraverso queste rappresentazioni, gli spettatori possono comprendere come questi vizi siano sempre stati presenti e intrecciati nei fili della storia umana, parte indissolubile della natura umana e come non siano dei concetti nebulosi e moralistici nati dall’inflessibilità dottrinale del cristianesimo medievale.

In questa edizione, le rappresentazioni ispirate a vizi capitali sono state disposte tra il primo e il secondo piano dell’edificio, secondo l’ordine dantesco, dal peccato ritenuto più grave, la superbia, all’ultimo, la lussuria.

Adesso, è tempo di riassumere queste rappresentazioni.

 

aula della classe VA- Museo dei Peccati

Peccato: Superbia

Attori:

Lussuria – Emma Greco IIIB                                Avarizia – Marina Meucci IIIB         

Accidia– Irene Graceffa IIIB                                 Gola – Ilaria Karahoxha IIIB

Invidia – Lucrezia Favilla/ Ranieri Cerri IIIB       Superbia – Matilde Presta IIIB

 

In questa rappresentazione assistiamo alla personificazione dei  Sette Peccati Capitali  che si presentano al pubblico, o meglio, vengono fatti presentare dalla Superbia, tramite degli spettacolini. Niente però va come programmato. L’ira avrebbe dovuto fare un balletto, ma fa saltare l’esibizione perché si arrabbia per la perdita del suo tutù rosso.

La Gola entra in scena cantando ‘Le tagliatelle di Nonna Pina’, ma viene interrotta dalla Superbia che le chiede di presentarsi al pubblico. Perciò la Gola affida la sua bottiglia di vino alla Superbia affinché gliela custodisca ma quest’ultima se la beve a tradimento. Per riprendersi la bottiglia, la Gola interrompe la sua esibizione.

L’Avarizia si presenta senza dire una parola, cercando di rubare gli oggetti preziosi dei presenti, “umiliandosi pubblicamente” secondo le parole della Superbia.

La Lussuria cerca di metter in scena uno spettacolino erotico con uno spettatore, che in realtà è uno dei peccati. Ancora interviene la Superbia che blocca tutto, e alla Lussuria non resta altro che presentarsi.

Quindi al contrario degli altri peccati, la Lussuria  riesce a presentare se stessa e parla della grande influenza che ha avuto nella storia, o perlomeno, di quella che crede di aver avuto.

L’Invidia, nella persona di un vecchio che si regge su un bastone, si presenta lamentandosi di quante cose abbiano gli altri peccati che lei non possiede: addirittura si lamenta perché è in piedi mentre gli altri spettatori più giovani di lei sono a sedere. L’Ira risponde alle sue lamentele dandole rabbiosamente un sedia su cui sedersi; per il momento, l’invidia è soddisfatta.

Si arriva all’Accidia, seduta tra il pubblico, che per la sua natura svogliata non vuole presentarsi. Nemmeno le rabbiose minacce dell’Ira riescono a smuoverla, poiché è troppo pigra per provare paura.

Infine arriva la Superbia, che mette su della musica e inizia a cantare in inglese la sua grandiosità per poi finire interrotta dagli altri vizi che vanno poi a ritirarsi dietro il sipario.

Prima di terminare lo spettacolo, la Superbia avverte il pubblico della presenza costante di questi peccati nella nostra vita quotidiana ma crede che tanto nessuno l’ascolterà. Infatti, dice che ci amiamo troppo per trovare in noi stessi dei difetti ridicoli e degradanti e non adatti per la nostra persona. Un eterno monito alla nostra mancanza di autoconsapevolezza.

 

aula della classe IA- Hamilton

Peccato: Superbia

Attori:

Alexander Hamilton- Giulia Nocent IIIC                            

Aaron Burr- Sofia Strangis ID/Rebecca

Hercules Mulligan/Thomas Jefferson- Giovanni Costamagna IIIC

Gilbert du Motier de Lafayette/James Madison- Livia Cucchiarelli IVD

Avventore n.1- Sofia Strangis ID                        Avventore n.2/Dottore- Rachele Lattanzi IVD

John Laurens/George Washington/Assistente Dottore- Marco Marrazzo IVD

 

Da due edizioni a questa parte, è diventata una presenza costante per i Giorni Classici la rappresentazione ispirata ai musical americani tutta recitata e cantata in inglese, alternata da parti narrate in italiano.  Sui posti a sedere  sono presenti i testi tradotti per facilitare la comprensione dell’opera agli spettatori.

Quest’anno è stato scelto Hamilton, un musical rappresentato per la prima volta nel febbraio 2015 offbrodway, ma diventato così celebre negli Stati Uniti da giungere a Broadway nell’agosto dello stesso anno. Il musical racconta la vita di uno dei padri fondatori americani, Alexander Hamilton, prendendo spunto da una biografia scritta nel 2004 su di lui.

Per questioni di tempo, la rappresentazione tratta le parti più legati alla vita politica di Alexander Hamilton, dove poté esprimersi il suo peccato: la superbia.

La rappresentazione inizia con la canzone My Shot, in cui Alexander arringa in un pub tre suoi compagni rivoluzionari, John Mulligan, Marquis de Lafayette e John Laurens, sulla rivoluzione. A loro si unisce Aaron Burr, che decide di dare supporto alla loro causa.

La canzone Non Stop, introduce il rapporto antagonistico tra Burr e Hamilton, con Burr che esprime il suo fastidio per la prospera carriera politica del suo rivale ma anche il grande rispetto che prova Hamilton verso il suo collega, entrambi avvocati. Per la sua grande abilità persuasiva, Hamilton chiede a Burr di scrivere dei discorsi anonimi in difesa della costituzione americana, ma Burr non vuole farlo, per timore di danneggiare la sua carriera politica.

Passano gli anni nell’opera e si passa alla canzone Cabinet Battle #1, dove Hamilton e Thomas Jefferson, in una simil-battaglia rap, cercano di affondare gli argomenti dell’uno e dell’altro. Alexander Hamilton vuole creare un banca nazionale pubblica, che raccolga le ricchezze dei vari stati e che possa erogare credito per dare supporto a quelli indebitati. Thomas Jefferson si oppone a Hamilton sia perché pensa che i singoli stati debbano provvedere alle proprie finanze, e sia perché non vuole che gli stati del Sud, che hanno già pagano i loro debiti, vengano secondo lui penalizzati. Lo accusa di essere un corrotto, e alla protesta di Hamilton gli risponde “Se la scarpa ti calza, indossala”. Hamilton risponde a Jefferson facendogli notare che c’è grande differenza tra il suo ideale e l’attuale gestione di uno stato, e che il motivo per cui gli stati del Sud hanno pagato i loro debiti stava nell’utilizzo degli schiavi. Termina dicendo a Jefferson di girasi e piegarsi, così da fargli vedere dove può stare bene il suo piede. La battaglia termina con Jefferson che cerca di aggredirlo, ma alla fine è fermato da Washington, che consiglia ai due di calmare i loro bollenti spiriti.

Dopo le elezioni del 1800, Burr è adirato con Alexander, poiché ha  dato sostegno a Thomas Jefferson, invece che a Aaron Burr, anche se Jefferson è sempre stato suo nemico. Si arriva così a Your Obedient Servant, canzone che illustra l’infuocata corrispondenza tra Hamilton e Burr, nella quale i due rivali si rinfacciano le ragioni che hanno portato al loro reciproco rancore, che si sfocerà poi in un duello.

The World was Wide Enough illustra il duello finale tra i due rivali, teatro di orribili incomprensioni: Burr fraintende le intenzioni di Hamilton, credendo che voglia ucciderlo, e spara per non lasciare sua figlia orfana. Hamilton spara invece il colpo in alto, non volendo uccidere Burr, in onore della loro vecchia amicizia. Il duello finisce così con la tragica morte di Hamilton.

I vari personaggi sono vestiti in giacca e cravatta, per imitare il più possibile i vestiti indossati nel settecento. Tra i attori risalta l’attrice che interpreta Burr, dalla voce angelica e cristallina.

                                                    

aula della classe IC- Pomo della Discordia

Peccato: Invidia

Attori:

Afrodite– Giulia Puglisi IIB                           Atena– Eleonora Mascia IIB

Era– Alice Feminò IVA                                 Zeus- Marcello Di Sacco IVC

Paride- Alessandro Sanzo IVC                   Eris- Livia Pieve IVA

Invidia– Francesca Mori IIB

 

Questa rappresentazione racconta il celeberrimo mito che dà origine alla guerra di Troia, quello del Pomo della Discordia, una mela che doveva essere data alla più bella, e che genera invidia nelle sue contendenti, Afrodite, Atena e Era.

Si inizia con la Discordia che scruta attraverso il suo televisore il pranzo di nozze in onore di Teti. Al tavolo sono presenti le tre dee e Zeus; Afrodite e Atena parlano di quanto fosse carino il vestito di Teti e l’insolita vista di Era e Zeus che vanno d’amore e d’accordo; Era intanto parla affabilmente con Zeus, mentre cerca di deviare il discorso da suoi possibili tradimenti. Tutti si accorgono di non aver invitato la Discordia ma non si disperano per la sua assenza, poiché non gradiscono la sua presenza.

Irata, la Discordia manda sua figlia Invidia al banchetto per porre il fatalo pomo della discordia sul tavolo e svelare quanto sia ipocrita la loro serenità familiare. Prima di porre il pomo sul tavolo l’attrice dell’Invidia esegue un balletto con in sottofondo musica classica. Le varie dee iniziano così a litigare su chi sia la dea più bella, e Zeus interviene prima che la situazione possa peggiorare, chiedendole di calmarsi.

Zeus porta poi Paride sull’Olimpo, poiché scelto dal Fato per giudicare la bellezza delle dee. Quando le dee vengono a proporre il loro dono al pastore l’Invidia le spinge verso di lui. Nonostante la promessa di un enorme regno da parte di Era, della saggezza necessaria per mantenerlo uno da parte di Atena, Paride accetta il dono di Afrodite, ovvero l’amore della donna più bella del mondo, Elena.

Dopo la consegna del Pomo, la scena si congela per ordine della Discordia, e la Discordia nera dice a Paride che non è ancora finita per lui, alludendo alla sue future sofferenze nella guerra di Troia.

Gli attori indossano abiti ispirati all’antico vestiario greco, con Atena, Era e Afrodite vestite rispettivamente con un abito da sera verde, grigio e celeste, nero quello della Discordia e sua figlia sono vestite di nero.

 

aula della classe ID- Temptation Island

Peccato: Invidia

Attori:

Zeus- Rita Spinello VD                                        Presentatore- Emma Scilingo IVB

Era-  Elena Succurro IIB                                      Tentatore- Zeno Ricci IVA

Callisto-  Camilla Ferrari IVB                               DJ- Alessio Bulleri IB

 

Come ben sappiamo, gli dei dell’antichità classica erano antropomorfi e rappresentavano ciò che era vero nell’animo umano, sia i lati più oscuri che quelli più splendenti.

Molti autori hanno reinterpretato in chiave tragica gli dei del pantheon greco nei secoli, inserendoli in nuovi contesti e vicende ispirate ai loro tempi. Ma niente vieta di vederli sotto una luce comica, visto che incarnano anche il lato assurdo e divertente dell’umanità.

Quindi non bisogna sorprendersi se il gruppo abbia creato un episodio fittizio di Temptation Island, famoso reality show su coppie che vengono tentate al tradimento, con protagonisti il Re e la Regina di tutti gli Dei.

La presentatrice introduce al pubblico la coppia del giorno, Zeus e Era. Era è rappresentata come una donna piena di sé, volitiva e orgogliosa delle sue caviglie. La presentatrice vuole mostrare ad Era un video, che quest’ultima lo guarda dopo un accentuata titubanza tra il vederlo e il non vederlo.

Il video mostra Zeus che flirta con Callisto, la lusinga, sussurrandole all’orecchio ciò che farebbe per amor suo.

Finito il video, Era esprime il suo stupore all’ennesimo tradimento del coniuge, dicendo di non capire come Zeus possa averlo tradito una moglie come lei. Era inizia a recitare la parte della moglie tradita secondo l’immagine diffusa tradizionalmente dal cinema e dalla tv, un comportamento in linea anche con la sua tipica reazione ai tradimenti del marito nei miti che li vedono protagonisti.

Entra in scena Zeus, tutto baldanzoso e fiero del suo aspetto. Anche a lui viene mostrato il video dove sua moglie lo tradisce con un uomo affascinante. Questa comportamento non appartiene all’Era tradizionale, che non poteva tradire suo marito in quanto dea protettrice del matrimonio, e si avvicina di più al comportamento tipico delle coppie moderne di Tentation Island.

Zeus si adira per il tradimento, chiedendosi come possa tradire uno come lui, mentre la presentatrice gli fa notare quante buone qualità questo pretendente possiede e che lui non ha.

Alla fine Zeus e Era si confrontano sui loro tradimenti, Zeus accusa Era di averlo tradito con un altro per l’invidia verso le sue numerose conquiste, mentre Era gli rinfaccia il suo ennesimo tradimento.  Zeus in quel momento scopre con raccapriccio di essere stato ripreso dalle telecamere nel suo misfatto sebbene Era lo avesse avvertito di questo dettaglio, un avvertimento ignorato per la poca considerazione verso la moglie.

Dopo che Callisto se ne va via di scena al grido di “Meglio orsa che cornuta!”, Era se ne va via dal programma stufa dei tradimenti di Zeus, con quest’ultimo che la insegue per farsi perdonare. La presentatrice, introduce poi il pubblico alla coppia della puntata successiva, Elena e Paride, e chiude così l’episodio e la rappresentazione.

Personalmente il personaggio che ho apprezzato di più è la presentatrice, povera vittima delle stravaganze di questa coppia divina, costretta a sopportare ne comportamenti vanesi ed esagerati, mentre cerca di ragionare con loro senza successo.

 

aula della classe VB – I diversi volti dell’ira

Peccato: Ira

Attori:

Seneca – Bernando Monicelli IVD                      Medea – Antonela Luzha IIID          

Achille – Marina Piragine IIID                              Fedra – Sofia Pratesi IIID

 

L’Ira è sicuramente tra i vizi più celebrati e trattati nella letteratura, impersonata da figure eroiche come Achille e Orlando, entrambi protagonisti di storie sulla loro collera.

Seneca, maestro di Nerone e una delle figure più prominenti dello stoicismo romano, trattò questo argomento estensivamente nel suo “De ira”, considerandola proprio come una malattia dell’animo, o malattia mentale parafrasandola in termini moderni.

Questa rappresentazione dà omaggio a questo vizio, anche se in chiave comica più che moralistica o tragica.

Il gruppo inscena un incontro di gestione della rabbia, tenuto dallo stesso Seneca, e tre figure emblematiche per la loro ira: Achille, Fedra e Medea.

Seneca inizia a parlare con Achille, per discutere del motivo della sua rabbia, ma quest’ultimo lo interrompe poiché insofferente al moralismo del filosofo. Fedra e Medea si lamentano dell’interruzione e Achille decide di rivelare il motivo della sua rabbia.

Nella sua maniera spensierata e schietta racconta la sua storia nell’Iliade: la peste di Apollo causata dall’ arroganza di Agamennone e dal suo rifiuto di restituire a Crise, suo sacerdote, l’ amata figlia Criseide; la rivendicazione del possesso di Briseide, schiava di Achille, da parte di Agamennone, e il successivo rifiuto di combattere di Achille per via della rabbia nata dall’affronto subito; e infine, lo scatenarsi di tale ira rovinosamente su Ettore e i suoi compagni, dopo l’uccisione di Patroclo. Ogni volta che questi personaggi parlano viene tirato un sipario rosso per attirare meglio l’attenzione del pubblico sulla storia.

Seneca puntualizza che la sua rabbia non giustifica il trascinare un cadavere intorno alle mura di Troia per tre volte, ma alla fine termina la faccenda con un “Se in 3000 anni non l’hai ancora capito, non c’hai più speranze”.

Inizia poi a parlare Fedra, moglie di Teseo, della ragione scatenante della sua rabbia.  Fedra divenne strumento di vendetta di Afrodite quando questa la fece innamorare del figliastro Ippolito, che disprezzava l’amore. Fedra rimane scioccata da questo suo amore proibito ed va a confidarsi dalla sua nutrice che lo riferisce a Ippolito, che disgustato, respinge con sdegno e disprezzo la matrigna. Fedra, ferita nell’animo e orgoglio, per la rabbia scrive una lettera a Teseo dove afferma che Ippolito l’ha stuprata e poi si uccide, per denigrare la castità che Ippolito riteneva sua fonte di orgoglio. Teseo fa uccidere così il figlio da un mostro marino, non riuscendo a comprendere l’inganno in tempo.

Dopo l’iniziale reazione di sdegno di Achille, Seneca puntualizza come la rabbia non giustifichi affatto l’aver accusato suo figlio di stupro per “essere stata friendzonata”, ma finisce il discorso con un altro “Se in 3000 anni non l’hai ancora capito, non c’hai più speranze”.

Infine inizia a parlare Medea; Seneca è contento del suo intervento, perché gli piace che sia consapevole della gravità del suo gesto e di come non possa essere giustificata dalla rabbia. Medea racconta di come si sia innamorata al primo sguardo di Giasone e di come l’abbia aiutato nella sua impresa. Dopo anni di matrimonio e avergli dato due figli, Giasone decide di ripudiarla per sposare Glauce, la figlia del re di Corinto, la città dove sono loro ospiti. Per la rabbia Medea le regala delle vesti avvelenate, che la fanno bruciare viva insieme a suo padre, accorso a salvarla. Infine, Medea uccide i suoi stessi figli, per togliere a Giasone degli eredi della sua stirpe, recidendo la sua discendenza.

Terminato il racconto, Medea si lamenta con Seneca del fatto che l’autore l’abbia rappresentata nella sulla sua Medea la scena dell’uccisione dei suoi figli, non mostrata nella tragedia originale. Seneca gli risponde che ha rappresentato quella scena per avvicinarsi al gusto del suo pubblico e guadagnare più fama e denaro. Dopo che cerca di vendere a noi pubblico l’edizione 2022 del De Ira, i suoi tre pazienti sbottano e lo cacciano via.

Questo ritratto di Seneca come venale e da “radical chic” prende spunto dalle accuse rivolte dai suoi contemporanei per la sua ricchezza enorme in evidente contrasto con l’astenzione tipicamente stoica dai beni materiali, e la critica verso la violenza quasi “splatter” delle sue tragedie. Riguardo all’ultimo punto, secondo alcuni studiosi Seneca includeva l’elemento sanguinario nelle sue opere per accattivarsi il pubblico della sua epoca, amante dell’orrido e della brutalità; altri affermano che con quella violenza Seneca volesse mostrare nelle sue opere le estreme conseguenze dei vizi, quando vengono assecondati.

 

aula della classe IIC- La Seduta

Peccato: Accidia

Attori:

Accidia- Anna Burns/Emma Prestia IA                        Psicologo- Riccardo Moretti IA

Palliato- Matteo Cappelli IA                                        

Voce coscienza n.1- Pietro Pingitore IA                     Voce coscienza n.2-  Alessio Gioli IB

 

L’accidia è definito dalla Treccani come “Inerzia, indifferenza e disinteresse verso ogni forma di azione e iniziativa”,  nel caso del Cristianesimo, verso compiere buone azioni e esercitare la virtù.  Per molto tempo persone depresse o semplicemente tristi e malinconiche d’animo furono tacciate di questo peccato, e solo con l’avvento della psicologia è stato possibile riconsiderare la loro condizione patologica.

Non è un caso che questa rappresentazione, ispirata dall’ascesa sul Monte Ventoso di Petrarca, sia impostata come un seduta dallo psicologo: la stanza è buia, con le uniche luci che illuminano due personaggi, Palliato, giovane sacerdote che ha preso i voti, tormentato dall’amore non ancora spento verso la donna amata, e il suo psicologo.

Dopo i primi saluti formali, lo psicologo chiede a Palliato se ha fatto i compiti che gli aveva chiesto di fare; Palliato gli risponde di no. Lo psicologo chiede poi al suo paziente di descrivere il suo dolore; Palliato gli dice di sentire un forte dolore nel petto, di cui tuttavia a volte si compiace, che lo travolge completamente.

Palliato parla poi di come abbia dentro di se due voci opposte; due persone si mettono accanto a lui, una vestita di bianco, l’altra di nero. La prima rappresenta i suoi ideali e il desiderio di continuare i suoi voti, incoraggia Palliato a seguirli, poiché è una scelta difficile da mantenere, ma non impossibile. La seconda voce invece incita Palliato a seguire il suo amore, poiché è una cosa naturale a cui tiene come i suoi voti.

Palliato cerca di illudersi di aver scelto la prima voce, di poter seguire i suoi voti e dimenticare il suo amore… finché il suo dissidio interiore, simboleggiato dalla donna che ama, si reca a lui chiedendogli se è riuscito a scacciarla.

La rappresentazione termina con le due voci che insieme, sotto una luce che squarcia il buio d’intorno, recitano la frase di Ovidio che Petrarca aveva citato nel poema che ha ispirato questa rappresentazione: “L’odierò se potrò, sennò l’amerò controvoglia”.

 

aula della classe IVD- A Christmas Carol

Peccato: avidità

Attori:

Jeff Scrouge- Filippo Conti IIA                                  Renatino- Franco Carlozzo IIB

Collega Morto- Alessandro Ghelardi IB                    Segretaria- Aya El-Mansouri IVB

Giornalista- Giulia De Ieso IB                                   Madre- Marjan Celoni IIA

Narratore- Valentina Moriconi IIA

Ebenezer Scrouge è l’avaro per eccellenza nella letteratura occidentale, usato come ispirazione per Zio Paperone da Carl Banks, e interpretato da numerosi attori nel corso degli anni, sia a teatro che nei film. La storia di cui lui è protagonista è considerata il padre delle storie commoventi ambientate a Natale, e proprio questa ambientazione è considerato da molte persone un elemento imprescindibile dalla storia, senza il quale la storia perderebbe senso… oppure no?

A mio parere questo gruppo è riuscito con successo a raccontare una storia nota a tutti, attualizzandola con riferimenti a fenomeni e personaggi del nostro tempo.

La storia inizia con Jeff Bez- ehm, Scrouge in ufficio con il suo dipendente-schiavo Renatino (ogni riferimento in questa rappresentazione non è casuale), che chiede a Scrouge di dargli un giorno libero per visitare sua figlia in ospedale per un appendicite, dopo anni di lavoro continuo senza ferie pagate. Al rifiuto di Jeff, Renatino decide di andarsene via per stare con sua figlia nel momento del bisogno, e prima di andarsene gli dice che è un mostro senza cuore. Jeff non rimane sorpreso, e lo avverte che se domani non si presenta a lavoro, lo licenzierà.

Poco tempo dopo, Scrouge viene sorpreso dalla visita del suo socio e amico, ormai ridotto a fantasma dannato a parlare cantando in terzine dantesche. Lo avverte che tra poco arriveranno tre persone normali, poiché “i fantasmi sono solo ai Natali, tranne me”, per farlo pentire dei suoi peccati e portarlo sulla retta via.

Arriva come prima visitatrice la segretaria di Scrooge , che gli annuncia la chiusura di un negozio davanti al loro ufficio; l’avaro accoglie con un contenuto entusiasmo di facciata. Quando poi la segretaria da una descrizione generale del negozio, uno di cianfrusaglie, e dell’oggettistica che vendevano, Scrouge viene colpito improvvisamente da  una sua memoria giovanile quando la segretaria menziona un colino tra quegli oggetti. Spronato dal fantasma, Scrooge inizia a raccontarla:

 La famiglia di Scrooge era molto povera, al punto di dover scolare la pasta a mani. Quando il giovane scorge il colino in quel negozio, inizia a lavorare duramente. Guadagnato il necessario, va al negozio per comprare l’oggetto dei suoi sogni, ma scopre con suo immenso dispiacere che non ce ne sono più.

Arriva poi come seconda visitatrice una giornalista, che aveva preso tempo prima un appuntamento con Scrouge per intervistarlo. La giornalista gli sbatte in faccia le pessime situazioni lavorative dei suoi impiegati, tramite un video di Renatino piangente che cerca di dare da mangiare una galletta di riso a sua figlia, malata purtroppo di l’appendicite. Scrouge la scaccia infine dal suo ufficio, dopo che la giornalista rifiuta la sua tangente.

Il fantasma, sempre in terzine dantesche, gli fa presente di come la gente lo veda come un mostro destinato alla dannazione eterna per i suoi peccati. Scrouge ribatte dicendogli se il fantasma abbia diritto di giudicarlo poiché è morto canterino. Il fantasma gli risponde con un noncurante si.

Infine arriva come la terza e ultima visitatrice la madre di Scrouge, che il nostro protagonista non vede e non sente da tre anni. Dopo aver abbracciato con forza Scrouge, la madre si lamenta dello squallore del suo ufficio, al quale Scrouge risponde, con una battuta che rompe la quarta parete, che il suo ufficio è un aula e la scenografia ha fatto del suo meglio ad arredare il suo ufficio; e quando la madre vuole spingerlo ad alzare il riscaldamento, Scrouge si giustifica dicendo che il costo del gas è troppo alto, rimandando all’attuale rincaro del gas per le sanzioni alla Russia.

La madre dice a Scrouge che non può continuare a vivere la sua vita d’avaro, e gli racconta che mentre andava a visitare la tomba del marito ha visto un tomba di ricca finitura ma completamente abbandonata; dopo aver creato aspettativa su di chi poteva essere la tomba, con in sottofondo la sigla di Paperissima Sprint rivela a Scrouge che quella tomba è la sua, e che morirà solo, dopo aver sprecato tutta la sua vita.

Scioccato da questi eventi, Scrouge rimane inebetito sulla sua scrivania fino al mattino seguente, dove arriva Renatino, desideroso di far valere fortemente i suoi diritti di lavoratore. Dopo aver visto lo stato pietoso del suo datore di lavoro, Renatino lo invita a mangiare a casa sua, ma a patto che paghi tutto lui, poiché non può permettersi di pagare niente. Scrouge chiede se hanno abbastanza soldi per possedere un colino, e alla risposta negativa di Renatino va ad abbracciarlo, dicendogli che risolverà questo problema.

Così termina questo superbo riadattamento di uno dei racconti più famosi di Charles Dickens, che più volte mi ha fatto ridere per le battute ben congegnate e auto dissacratorie nei confronti di loro stessi, e per le grandi capacità recitative del cast, soprattutto del fantasma e di Scrouge.

Spero di rivederli al teatro come ottimo attori, un giorno!

 

aula della classe VD- Ulisse e Circe

Peccato: Gola

Attori:

Odisseo- Guglielmo Martini IA                              Circe- Beatrice Patriarchi ID

Tiresia- Anita Pardini IA                                         Euricolo- Laura Bruno VC

Poseidone- Ruben Vincenti IA                              Mucca di Apollo- Valentina  Tongiani II

Narratore- Lavinia Braccini IIB

Chiunque abbia letto e studiato l’Odissea, per conto suo o in un aula scolastica, avrà sicuramente impressa nella mente la proverbiale disobbedienza dell’equipaggio di Ulisse, che si ritorce sempre contro loro stessi, ma ancor di più sul loro comandante. Molte volte l’equipaggio si lascia trasportare dai propri vizi, finendo per farsi plagiare dagli ozi letargici dei Lotofagi, aprire per avidità l’otre dei venti di Eolo, e infine mangiando le vacche sacre di Apollo, peccando così di gola e arroganza. Questa rappresentazione racconta quest’ultima loro disobbedienza, che li portò alla loro morte.

La rappresentazione inizia con Ulisse che chiede a Circe di fargli lasciare l’isola per Itaca, dopo la sua permanenza di un anno. Circe lo scongiura di non andarsene, ricordandogli quanto ha rischiato per salvarlo e che potrebbe non avere ne più trono ne moglie ad attenderlo in patria. Tuttavia Circe accetta la richiesta di Ulisse, dopo che lui le rivela che non avrebbe potuta amare per gli inganni sortiti contro di lui e per l’amore verso sua patria; gli consiglia di contattare l’indovino Tiresia, e chiedergli il suo responso.

Arrivato sull’isola dove risiede Tiresia, Ulisse lo interroga sul suo futuro, e non è roseo per l’eroe: Poseidone lo ostacolerà sempre per l’accecamento di suo figlio Polifemo, e se mangerà le vacche sacre di Apollo, dopo essere arrivato sulla sua isola, dovrà affrontare al ritorno in patria i pretendenti al suo trono, insediatisi nella sua casa, nella speranza di sposarsi sua moglie Penelope.

Ulisse è spaventato da questo destino, e perciò avverte i suoi compagni di non mangiare le vacche, appena arrivati all’isola del Dio del Sole. Purtroppo l’ingordigia vince i marinai, che uccidono una vacca per cibarsene. Ulisse scopre a fatto compiuto questo oltraggio al dio, e cade a terra per la disperazione

Apollo chiede a Poseidone di vendicarlo, una volta scoperta l’oltraggiosa uccisione delle sue vacche. Poseidone manda così una tempesta facendo morire gli ultimi membri rimasti e mandando alla deriva Ulisse verso l’isola di Calliope, dove rimarrà per ben 7 anni.

La cosa che mi ha colpito di più di questo gruppo è stata l’atmosfera suffusa dell’aula, data dalle tende più pesanti, e la lettura enfatica della narratrice, che presentava le scene recitate dagli attori.

Questo gruppo mi ha fatto ricordare gli spettacoli dei primi Giorni Classici del 2018, di cui feci reportage. Sono contento di questa rappresentazione, che mi ha fatto ripensare alla mia “giovinezza” dall’alto della mia “anzianità”, poiché è segno che questa scuola non ha perso il suo spirito interpretativo.

 

aula della classe IIA- Paolo e Francesca

Peccato: Lussuria

Attori:

Dante – Flavio Valerio Bacci IC

Lussuria/ Francesca in controluce – Giulia Della Longa IC

Dante (narratore)/ Paolo in controluce/ Gianciotto in controluce – Giulia Donati IC

Francesca/ cantante – Clotilde Borelli IC

Virgilio/Gianciotto – Filippo Arena IC

Francesca in controluce – Matilde Rossi IC

 

Il pubblico entra nella stanza della rappresentazione accolto da un oscurità impregnata d’incenso, e si accomoda sui posti a sedere. Davanti a loro sta un fondale bianco, e di lato la proiezione dell’Inferno e delle sue cerchie prigioniere di anime dannate.

Poco dopo escono dal fondo Dante con Virgilio al suo fianco; il grande poeta dà una breve presentazione a se stesso, di Virgilio, poiché, come dice lui, “si parla della mia opera, e non di me”, e lascia spazio al resto della scena con il grande quesito che lo ha sempre tormentato: come si può peccare seguendo l’amore, una forza pura che ha ispirato nell’animo di tanti poeti e uomini alti pensieri?

Giunge in scena la Lussuria, che racconta a noi pubblico come sia cambiata la sua definizione con il tempo, passando dall’essere il termine per indicare la ricerca smodata del lusso e del potere nel mondo latino ad essere usato per indicare un’incontrollata ricerca dei piaceri sessuali dal 1268; racconta che Dante l’ha rappresentata nell’Inferno e nel Purgatorio, e che il quinto canto dell’Inferno è dove si trova il suo ritratto più memorabile.

Al termine di questa constatazione, entra in scena l’attrice di Francesca da Polenta, recitando i celeberrimi versi di Dante che s’imbatte nel vortice delle anime lussuriose, i cui venti le imprigionano in un eterno vorticare per aver anteposto il piacere dell’amor sensuale alla loro ragione . I versi che hanno reso celebri la giovane donna e il suo amante Paolo Malatesta vengono introdotti poi dalla Lussuria, colei che secondo Dante ha portato alla rovina tante grandi figure storiche.

Francesca dice a Dante come l’amore ancora sconvolga violentemente il suo animo anche dopo la morte, del suo innamoramento e della sua morte. Le ombre proiettate da una luce sul fondale bianco e i versi del Divino Poeta raccontano della nascita e dell’esplosione dell’amore dei due amanti tra le pagine “galeotte” che narravano l’amore tra Lancillotto e Ginevra, nonché della misera fine del loro amore per mano di Giaciotto, marito di Francesca e fratello di Paolo, che fratricida e moglicida si assicurò doppiamente il cerchio di Caina.

Francesca termina questa rappresentazione con una splendida esecuzione di House Carpenter, canzone di Joan Baez che racconta il rapimento di una sposa da parte del diavolo,  i cui versi si intrecciano perfettamente con la vicenda di Francesca e Paolo attualizzandola.

E dopo tutto questo, non si è data ancora risposta al quesito postoci dal Dante della recita. Sappiamo che Dante scrittore credeva che si doveva sempre pagare per i propri peccati, nonostante potessero esserci mille giustificazioni e attenuanti; ma dato che lo stesso Dante attenuò la pena dei due amanti, ponendoli nella cerchia dei lussuriosi invece di quella dei traditori e lasciandoli abbracciati per l’eternità, possiamo comprendere che questa domanda non ha risposta sicura, e dipenderà sempre dall’animo delle persone che vorranno darle risposta.

 

aula della classe IIB-I vizi degli dei

Peccati: tutti

Attori:

Zeus- Edoardo Raffo IB                                                                                  Era- Cecilia Trocchi IA

Pluto- Diego Cruciani IB                                                                                Dioniso- Diego Taverni ID

Demetra- Chiara Coli IA                                                                                Niobe- Giada Cignoni VD

Aergia- Chiara Baruncini IVC

 

Per quanto i Greci non condividessero la concezione cristiana del peccato, che porta le persone a sentirsi in colpa per azioni deleterie per il proprio animo, tuttavia credevano nella morale comunitaria della misura, ovvero assecondare i propri desideri entro determinati certi limiti, per evitare che si trasformino in comportamenti che possano danneggiare la comunità. Nella mitologia greca sono presenti le personificazioni di questi atteggiamenti, sotto forma di dei, nati o dai loro antichi progenitori o dagli dei stessi, o esseri umani che hanno offeso gli dei con i loro comportamenti vili e superbi: i soggetti di questa rappresentazione saranno  proprio loro.

La rappresentazione inizia con Zeus che accoglie gli ospiti del banchetto di famiglia organizzato da lui, dove possiamo fare una veloce introduzione ai personaggi dell’opera: Dioniso, il dio greco del vino e grane assecondatore della sua gola; Pluto, dio dell’abbondanza e della ricchezza, figlio di Zeus e Demetra, dalle tendenze cleptomaniche; Aergia, dea della pigrizia e letargia; Demetra, irosa dea della natura; Era, la consorte di Zeus, continuamente tradita dal suo consorte; Afrodite dea dell’amore e del desiderio sessuale; e Niobe, fiera e superba madre di 7 figlie e 7 figli tutti di grande talento.

Il banchetto, che doveva svolgersi all’insegna dell’armonia e tranquillità, si tramuta in un grande caos, sia per i pessimi caratteri dei commensali, sia per l’ennesimo tradimento di Zeus venuto allo scoperto. Dopo quest’ultimo evento Demetra se ne va via paventando una nuovo devastante inverno globale, Era se ne va via arrabbiata e Zeus la insegue per cercare di calmarla.

Quando ormai il banchetto si è svuotato, tranne per un Aergia in stato letargico sul tavolo del banchetto, Pluto lascia sfogo alla sua avida cleptomania, saccheggiando il banchetto degli oggetti preziosi lì rimasti. In seguito Aergia si sveglia, ma non vedendo più nessuno al banchetto, e segni del misfatto appena compiuto, si riaddormenta, riprendendo la sua quotidiana visita del regno di suo fratello Morfeo.

Alla fine però che così potevamo aspettarci dalla famiglia Olimpionica, dove la loro più grande litigata si è risolta con una guerra durata 10 anni? Per i loro standard questo è una tranquillo fine banchetto, ed è meglio che sia finita così…. Questa volta.

 

 

Il mio commiato alla redazione

 

Alla fine di questo articolo trovo la fine del mio ruolo da giornalista per Rapsodiaonline.  E’ stato un percorso su cui ho camminato con piacere, ma che avrei voluto e dovuto seguire di più a dispetto del raggelamento creativo ed emotivo che questa pandemia ci ha fatto vivere, secondo la mia opinione. Solo in quest’ultimo anno mi sono scongelato dalla mia inerzia, e il mio desiderio di ricominciare a scrivere mi ha portato a dare vita a tre articoli quest’anno, per i quali provo un enorme orgoglio. Dicono che “è meglio (fare qualcosa) tardi che mai”, ma è un detto che risuona alle mie orecchie come un contentino che come una rassicurazione.

Tuttavia sono contento per gli articoli che ho scritto in tutti questi anni. Saranno un caro ricordo dei miei anni liceali, e segno della mia presenza in questa scuola.

Ringrazio la professoressa Benedetti per avermi accolto nella sua redazione e per avermi permesso di scrivere ciò che volevo lasciare al mondo, e la sua pazienza nei confronti della lunga gestazione dei miei articoli. Ringrazio la mia scuola per avermi concesso tutto ciò che mi è servito per crescere nell’uomo che sono oggi. Ringrazio infine i vari capogruppi e attori che mi hanno fornito i nomi dei loro colleghi e le loro parti, senza i quali non avrei potuto dare i ritocchi finali a questo articolo. Vi meritate un applauso per la vostra cortesia e disponibilità!

Auguro ai futuri studenti un futuro radioso, e a quest’ultimi specialmente che questa scuola doni loro la libertà dalle catene delle banalizzazioni e autoinganni che imprigionano i figli di ogni generazione umana, forgiate e rinsaldate dalla noncuranza e egoismo di uomini che non danno importanza allo stillicidio del nostro pensiero critico, provocato dalle loro azioni imprevidenti e dalla loro avidità di potere e di soldi. Uomini banali, che verranno solo ricordati per la loro meschinità.

Vivete la vostra vita per portare avanti la parte migliore della nostra e vostra umanità, per fare un favore a voi stessi e a quelli che verranno.

 

Luigi Olivero (classe IIID – Liceo classico)

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