Non riusciremo a rispondere alla prossima pandemia se il profitto rimarrà la priorità.
Ha senso poter andare sulla Luna ma non riuscire a evitare milioni di morti per una malattia? Ne ha molto, se la società è capitalista.
Non si può imparare nulla dalla pandemia se non si riesce ad individuare la contrapposizione che si è palesata tra interessi dell’umanità e interessi del capitale, ovvero come la necessità del capitalismo di generare profitto sia andata contro la vita umana. Dimostrare l’esistenza di questo antagonismo è semplice. Bastano tre esempi che riguardano i protagonisti della lotta al Covid: lockdown, mascherine e vaccini. In Italia e nel mondo i grandi gruppi aziendali come Confindustria hanno fatto sì che le chiusure riguardassero il meno possibile le attività produttive (anche le fabbriche di armi) contro la volontà dei lavoratori, causando molte morti che sarebbero state impedite da chiusure più repentine e complete. Il danno causato dalla logica capitalista non ha riguardato soltanto le misure non attuate ma anche ciò che mancava all’inizio della pandemia: per avere una società protetta dalle malattie bisognerebbe sempre avere un surplus di mascherine, ma visto che produrle porta profitti soltanto quando il problema è già iniziato, tutta la prima fase della pandemia è stata caratterizzata da carenze e speculazioni su questi importanti dispositivi medici. Ma l’episodio che inchioda di più il capitalismo è quello che riguarda i vaccini: non solo le risorse sono state gestite in modo inefficiente, con 40 vaccini sviluppati in contemporanea, ma per essi è stato mantenuto il brevetto. Questi fatti da soli hanno condannato a morte centinaia di migliaia di persone.
Per il capitale i profitti valgono più della vita dei lavoratori, e molto più della vita di chi non è “produttivo”; questo non è dovuto all’egoismo dei dirigenti ma alla necessità di far fronte alla competizione, in cui rimanere indietro significa morire. L’unica via per superare il pericolo delle pandemie è l’instaurazione di una società che produca e distribuisca in modo pianificato e razionale non seguendo un criterio di profitto ma di utilità umana, una società che io e altri chiamiamo comunismo.
Valerio D’Amato (classe 3B – liceo classico)
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