Nato l’8 agosto 1879 nello stato meridionale messicano del Morelos, Emiliano Zapata può essere definito uno dei più grandi rivoluzionari e figure centrali non solo messicani, ma di tutto il mondo del XX secolo, grazie alla sua attività e lotta politica in Messico contro il regime dittatoriale di inizio ‘900 del presidente Porfino Dìaz. Zapata nacque da una delle innumerevoli famiglie trascurate e rese povere dal dittatore, ma studiò con l’idea di voler cambiare la situazione nel suo paese. Conclusi gli studi, diede infatti inizio alla sua vita politica. Quando nel 1909 diventò sindaco della sua cittadina natale, Anenecuilco, nello stato di Morelos, nell’arco di un anno, fino alla metà del 1910, occupò e ridistribuì le terre.
Questa rivoluzione contadina fu il primo passo di una ribellione che idealmente dura ancora oggi nel Chiapas, lo stato meridionale messicano confinante con il Guatemala, dove migliaia di indigeni protestano e combattono ancora ispirandosi come riferimento politico a Emiliano Zapata, il cui nome è ripreso nel nome del loro esercito, ovvero l’EZLN, l’esercito zapatista di liberazione nazionale, creato negli anni ‘80.
Alla fine del 1910 Zapata cominciò a mobilitare il suo esercito e ad attaccare, e dopo un anno, si vide quasi costretto a ideare e successivamente attuare il “piano di Ayala” nei confronti del governo di Madero, successore di Porfino Dìaz ed ex alleato di Zapata proprio contro il regime Porfista, data la richiesta nei confronti dell’esercito rivoluzionario contadino di deporre le armi e affrontare di nuovo la questione agraria. In data 25 novembre 1911 attuò il piano di Ayala, così denominato dal comune della sua cittadina natia, che consisteva principalmente in quattro punti:
- rifiuto di riconoscere Madero come presidente
- nomina di Pasqual Orozco, rivoluzionario messicano contro Madero, come leader della rivoluzione
- esproprio della terra dei latifondisti a favore dei contadini
- conferma della natura contadina della rivoluzione
Il piano descriveva a pieno l’ideologia zapatista, che poteva esser riassunta nel grido “Terra, Giustizia e Legge!”, il motto dell’esercito rivoluzionario. Nel proclama, che si rivelò un manifesto politico anche per gli abitanti delle città che all’inizio non avevano preso parte, gli zapatisti chiamavano tutta la popolazione alle armi, fatto che successivamente si concretizzò in vari scandali.
Il presidente chiese a Victoriano Huerta di affrontare le truppe di Orozco, per evitare che si unissero a quelle di Zapata ma, una volta respinte, lo stesso Orozco ammise di aver piani diversi dell’alleato e così, nel 1913, si schierò con Huerta, tradendo Zapata. Quest’ultimo agì di conseguenza disconoscendo Huerta come presidente e dichiarando Orozco traditore. Seppure le cose sembrassero non andare per il verso giusto per Zapata, a rincuorarlo ci fu il fatto che il suo piano, dato che come già detto servì da propaganda per i cittadini, fece crescere la stima del proletariato e favorì l’entrata di nuove reclute nell’esercito. Rimase da sconfiggere Huerta, con il quale non bastarono le sole forze degli zapatisti a cui, infatti, si allearono Venustiano Carranza e soprattutto Pancho Villa, un eroe rivoluzionario messicano come Zapata, situato però nello stato settentrionale del Chihuahua, il più grande di tutto il paese, nel quale diventò il comandante dell’esercito rivoluzionario del nord. I tre si unirono, ma presto nel dicembre del 1914, alla seconda convenzione di Aguascalientes tra le fazioni rivoluzionarie, quella di Carranza, diventato presidente, non accettò l’accordo raggiunto, e scatenò il proseguimento della guerra civile. Le truppe dei due avversari entrarono vincenti a città del Messico, dove Zapata, seguendo come sempre i suoi ideali, rifiutò di diventare presidente, ribadendo “di combattere per le terre, non per questo”.
L’esercito zapatista e quello di Villa sembravano all’apice delle forze, ma il secondo, nel 1915, si vide obbligato ad ingaggiare due guerre contro Carranza, che perse malamente entrambe, incrinando anche la fama di grande comandante e intraprendendo un rapido declino. Successivamente alla sconfitta non fece parlare molto di sé, se non quando nel 1920 provò ad ingaggiare per un’ultima volta guerra contro Carranza: quella rimase solamente un’idea, dato che trovò un accordo per ritirarsi senza ritorsioni, per poi morire tre anni dopo, nel 1923, assassinato dal presidente Alvaro Obregòn, ex comandante di Carranza, colui che aveva portato al declino l’esercito di Villa.
Per quanto riguarda Emiliano Zapata, sappiamo che alla guida del suo esercito rivoluzionario, nel 1915, tornò nel Morelos, stato nel centro-sud del Messico, dove creò un governo democratico. In seguito al suo ritiro, Carranza riprese controllo della capitale e quattro anni dopo, il 10 aprile 1919, Zapata venne assassinato dallo stesso Venustiano Carranza a Chinameca, nel comune di Ayala.
Gli zapatisti oggi
Oggi, seppur assassinato, Zapata non è scomparso, ma anzi ha ancora un ruolo importantissimo per le popolazioni indigene, gli zapatisti e l’EZLN, ovvero quello di leader politico. Gli zapatisti insomma non se ne sono mai andati, sono solo stati trascurati dai media e dai politici, facendo passare in secondo piano anche le violenze subite nel corso della loro storia e che continuano ancora oggi. Per questo gli indigeni del Chipas hanno dato vita a una sollevazione popolare il 1 gennaio del 1994 in risposta all’entrata in vigore del NAFTA, il trattato di libero scambio commerciale tra Stati Uniti, Canada e Messico, in quanto prevedeva la cancellazione dell’articolo 27 della costituzione messicana, che proteggeva le ejidos, proprietà terriere comunali indigene, dalla vendita o dalla privatizzazione. Questa modifica costituzionale avrebbe portato alla scomparsa delle comunità indigene, che in risposta hanno reagito, iniziando un conflitto nel Chapas, stato meridionale del Messico, proprio quello con la più elevata presenza di popolazioni amerindie.
L’entrata in vigore del NAFTA in realtà è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso, data tutta la storia precedente, che vede almeno 500 anni di lotte, causate dalla privazione dei diritti civili ed umani e l’espropriazione territoriale dei vecchi e nuovi conquistadores, ovvero le multinazionali. Per riuscire meglio a capire quanto la terra e l’ambiente siano importanti per gli indigeni basti pensare al fatto che loro la chiamano “Pacha Mama”, nonché Madre Terra, in quanto considerata come organismo vivente e divinità. Questa però non è l’unica differenza dalla nostra società, che seppur moderna, agisce diversamente sotto alcuni aspetti: nelle popolazioni indigene esiste la Minga, ovvero il lavoro non retribuito, volontario e di pubblica utilità; per quanto riguarda le decisioni, quelle vengono prese per assenso generale durante assemblee collettive, con il metodo del Principio del Consenso, ovvero che tutti debbano essere d’accordo. Queste situazioni, per quanto possano esser fatte da popolazioni indigene, rurali e poco modernizzate, possono sembrare molto più moderne di quelle prese dalle nostre società attuali.
Il conflitto innescato dalla sollevazione del 1 gennaio 1994 durò inizialmente solo 11 giorni, successivamente ci fu il cessate al fuoco e le due parti si sedettero al tavolo delle trattative, nonostante il governo non volesse negoziare, ma solo prender tempo per decapitare i comandanti ed il subcomandante Marcos dell’EZLN, operazione che successivamente fallì. Questo portò ancor più sfiducia nei confronti del governo messicano, che sotto l’occhio della stampa, dovette trovare un accordo: anche se raggiunto, nel momento di trasformarlo in legge il presidente dell’epoca Ernesto Zedillo si rifiutò di farlo. Nel mentre, il governo addestrò gruppi indigeni di paramilitari per costringere gli zapatisti a lasciare i luoghi dove risiedevano, fino ad arrivare a stragi, come quella di Acetal nel 1997, dove furono uccisi a sangue freddo moltissimi indigeni e vennero sfollati altrettanti. In risposta l’EZNL istituì una marcia, ma fu fatta anche in risposta al nuovo presidente di destra Vicente Fox, che spavaldamente disse di poter risolvere la situazione in “15 minuti”, finendo per deludere i cittadini senza risolvere la situazione.
La “Marcia della Dignità” iniziò il 24 febbraio 2001 e percorse 3000km, fino Città del Messico: ebbe un grandissimo valore storico, simbolico (poiché il percorso fu lo stesso di quello di Emiliano Zapata 88 anni prima) e politico, riuscendo ad avere l’appoggio dei cittadini messicani e fargli conoscere le loro condizioni di vita, seppur la risposta alla richiesta di avere uguali diritti come gli altri cittadini messicani e rivendicare la propria autonomia fu negativa. Per questo gli zapatisti decisero di riorganizzarsi politicamente e creare nel 2005, anno peraltro delle elezioni messicane, una campagna politica diversa da tutte le altre esistenti ed autonoma, la “Otra Campana”, creata non allo scopo di entrare in parlamento, bensì di incontrare ed ascoltare proposte ed idee di persone, gruppi, organizzazioni e movimenti civili per un Messico diverso.
Attualmente la ribellione zapatista del Chipas non si è ancora conclusa, e il 17 agosto 2019 il Sub Comandante Moisés ha annunciato la fondazione di 11 nuovi centri di resistenza autonoma e ribellione Zapatista, chiamati CRAREZ, che costituiscono vari livelli di autogoverno per amministrare i territori recuperati dal controllo del governo nel corso degli anni.
Stile di vita indigeno: buen vivir.
Motti di Emiliano Zapata: “Preferisco morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio”; “Reforma, Libertad, Justicia y Ley” (Riforma, Libertà, Giustizia e Diritto)
Ruben Garofalo (classe 1D AFM – ITE)
Attività di approfondimento del programma di Geografia economica
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