Per comprendere l’attuale conflitto nella striscia di Gaza è essenziale conoscere la storia del territorio e quella dell’intera Palestina dalla fine dell’Ottocento fino agli anni ’80 del Novecento. Non si possono comprendere le cause del conflitto senza conoscere ciò che è accaduto nel recente passato.
Alle radici della questione israelo-palestinese c’è l’immigrazione ebraica in Palestina, fenomeno che continua ancora oggi: nella Palestina di fine ‘800 (al tempo sotto il controllo dell’Impero ottomano) caratterizzata da un numero limitato di ebrei ortodossi residenti lì da secoli ha inizio, nel 1881, un’ondata migratoria di ebrei dell’Europa orientale in fuga dai pogrom antisemiti dell’Impero Russo; questo movimento fu chiamato “Prima Aliyah” (termine ebraico usato per indicare il pellegrinaggio a Gerusalemme).
Nel 1897 si riunisce il primo congresso sionista in Svizzera. Il sionismo era (ed è) un’ideologia per cui dovrebbe esistere uno stato abitato da soli ebrei in Palestina, da stabilire tramite un movimento di colonizzazione; questo secondo le affermazioni dei principali sionisti, in particolare il fondatore di tale ideologia Theodor Herzl, che aveva definito nel suo libro “Lo Stato ebraico” del 1896 il sionismo un'”idea coloniale”. Con l’organizzazione del movimento sionista si arriva a uno sforzo coordinato nella colonizzazione, che permette anche la formazione di lobby sioniste in molti paesi. Tra la fine dell’Ottocento e la Prima Guerra Mondiale il movimento sionista si guadagna l’appoggio del governo britannico, il quale vedeva in modo favorevole la nascita di uno Stato con cultura europea in Palestina che avrebbe potuto garantire la sicurezza dei possedimenti britannici in Egitto.
Durante la Prima Guerra Mondiale l’Impero Britannico, con un documento ufficiale del segretario degli affari esteri Balfour, dichiarò alla Zionist Federation che avrebbe reso possibile la nascita di una “National Home” per gli ebrei in Palestina dopo la guerra, e, dopo che la Società delle Nazioni concesse ai Britannici un mandato sulla Palestina (1920), mantenne la promessa permettendo una maggiore immigrazione ebraica nel territorio, anche se fu costretto a limitarla dopo la rivolta araba del 1936-39.
Mentre all’inizio i palestinesi avevano visto i sionisti come dei semplici europei arrivati da lontano, simili ai diplomatici e ai missionari, col tempo si svilupparono tra i coloni ebrei e i nativi palestinesi tensioni che in molti casi sfociarono nella violenza e causarono la nascita di numerose organizzazioni paramilitari da ambo le parti, ma soprattutto ebraiche come l’Haganà, nucleo del futuro esercito di Israele, Irgun e Stern.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale la situazione in Palestina divenne insostenibile per le autorità britanniche, che decisero di lasciare la questione nelle mani delle Nazioni Unite, che a loro volta con la Risoluzione 181 optarono per la creazione di uno stato palestinese e uno ebraico, una soluzione approvata dalla comunità ebraica ma fortemente osteggiata dai palestinesi e dal resto dei paesi arabi. Così, con il supporto delle grandi potenze occidentali e dell’Unione Sovietica, alla mezzanotte del 14 maggio 1948 venne dichiarata la fondazione dello Stato di Israele, ma la mattina seguente esplosero subito i combattimenti tra l’esercito di quest’ultimo (composto dalle milizie sopracitate) e le forze paramilitari palestinesi e gli eserciti degli Stati arabi in quella che venne chiamata la Guerra del 1948. Israele vinse grazie alla maggiore preparazione militare e alla quantità di forniture di armamenti provenienti dagli stati che lo sostenevano, espandendo il territorio che le era stato assegnato con la Risoluzione 181. La Cisgiordania e Gerusalemme est andarono al Regno di Giordania (che si era accordato segretamente con Israele a questo fine) e la striscia di Gaza all’Egitto. Ma la conseguenza più importante della guerra fu la Nakba (in arabo “catastrofe”), termine che descrive il massacro di molti palestinesi e la deportazione di 700.000 persone dalle loro case a opera delle forze armate israeliane.
Questa è stata descritta come la pulizia etnica della Palestina, eseguita con lo scopo di creare uno stato ebraico più grande possibile e con il minor numero di palestinesi. Mentre nei territori acquisiti da Israele rimasero 160.000 palestinesi (che andranno a formare la minoranza palestinese di Israele), i 700.000 espulsi trovarono asilo nei campi profughi dei Paesi arabi o della Cisgiordania e di Gaza, in cui hanno vissuto fino ad oggi grazie ai limitati aiuti delle Nazioni Unite tramite l’agenzia Unrwa e dei paesi ospitanti.
A Gaza e in Cisgiordania trovò radici il gruppo di islam politico dei Fratelli Musulmani, che riscosse la coscienza politica dei rifugiati portandoli a formare dei gruppi di guerriglieri Fidayyin (in arabo “devoti”) che iniziarono a mettere in atto varie incursioni nei villaggi di confine israeliani, contrastati dalla risposta delle forze israeliane. Questo però non significa che i Fratelli Musulmani controllassero la resistenza palestinese, che si sviluppò in modo autonomo anche se lo fece appoggiandosi ai paesi arabi.
Nel ceto intellettuale si svilupparono idee più laiche e progressiste che diedero origine al movimento nazionalista laico Fatah. Insieme al vecchio ceto politico palestinese, negli anni ’50, queste forze iniziarono a incontrarsi per trovare punti in comune; i principali obiettivi individuati erano la nascita di uno Stato palestinese nell’intero territorio della Palestina “mandataria” e, di conseguenza, il ritorno dei rifugiati alle loro case (sotto la formula di “diritto al ritorno”), ufficialmente voluto anche dalle Nazioni Unite con la Risoluzione 194; secondo tutti questi movimenti tali obiettivi andavano raggiunti tramite la lotta armata, e infatti questi movimenti avevano anche un’ala militare.
A seguito di grandi tensioni tra Israele e i paesi arabi, nel 1967 Israele effettuò un formidabile attacco che in soli sei giorni sconfisse tutti i paesi arabi limitrofi. L’Egitto perse la penisola del Sinai, la Siria le alture del Golan; la striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme est divennero “Territori palestinesi occupati” militarmente da Israele.
L’occupazione dei territori fu estremamente dannosa per i palestinesi che vi abitavano, i quali si trovarono a vivere in pessime condizioni e sotto un regime repressivo che non permetteva neanche di avere una bandiera palestinese.
In questo clima trovò quindi terreno fertile la militanza politica palestinese, che ne trasse nuova linfa. In particolare, si rafforzarono le forze laiche come Fatah e l’estrema sinistra del FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) e del FDLP (Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina), tutti coordinati nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che organizzò vari attacchi armati contro le forze di occupazione israeliane.
La situazione fu aggravata dal movimento di colonizzazione israeliano della striscia di Gaza e della Cisgiordania. Si formarono infatti vari gruppi politici che volevano l’insediamento di coloni ebrei a Gaza e in Cisgiordania con vari fini: c’era chi lo riteneva necessario per la sicurezza di Israele e chi per motivi religiosi. Questo movimento, che si affermò con confische di case palestinesi e costruzione di insediamenti, portò a una presenza ebraica sempre maggiore nei territori palestinesi, con una crescente ostilità tra coloni e popolazione indigena.
Anche se erano ancora in uno stadio iniziale di sviluppo, si svilupparono varie forze che traevano ispirazione dall’Islam per i loro programmi politici, e si concentravano nell’educazione e nell’aiuto alla popolazione; in particolare l’organizzazione di beneficenza legata ai Fratelli Musulmani Mujama Al-Islamiya (“Centro Islamico”), l’embrione di Hamas, si sviluppò a Gaza, ricevendo anche finanziamenti da Israele finalizzati a indebolire le forze politiche palestinesi di ispirazione laica.
Dopo il 1967 si ebbe quindi una situazione di profonda instabilità, che creerà le condizioni per la grande rivolta del 1987, l’intifada, che sarà affrontata nella seconda parte di questo articolo.
Scopo di questo articolo non è proporre un’analisi esaustiva del periodo preso in considerazione, ma fornire una sintesi utile a comprendere gli avvenimenti recenti. Per chi desideri approfondire, molto interessante è il saggio “Storia della Palestina moderna” dello storico israeliano Ilan Pappe.
Valerio D’Amato (classe 2B – liceo classico)
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