Da quando ho memoria e seguo il motorsport, Schumacher non è mai diventato un superpapà (“che – come si tiene a precisare ogni volta dopo una presentazione simile – riusciva a conciliare la carriera da pilota più vincente della Formula Uno con la propria vita in famiglia“). Kimi Räikkönen, ultimo campione Ferrari, ora pensionato, non è mai apparso sulle prime pagine come marito perfetto della sua Minttu; Mattia Binotto e il suo muretto non ha mai partorito o è diventato padre di una strategia.

O ancora: gli ingegneri e gli strateghi dei rispettivi team non sono mai stati definiti dei “ragazzi” e non hanno mai fatto parte di nessuna realtà clamorosa o sorprendente o (quest’ultimo aggettivo forse è peggiore di tutti gli altri) meritatissima, con tanto di titoloni in azzurrino.
Oriana Fallaci, nella premessa al suo libro “Il Sesso Inutile”, saggio sul ruolo della donna nel mondo degli anni ‘60, scriveva: “Il padreterno fabbricò uomini e donne perché stessero insieme, (…), trattare le donne come se vivessero su un altro pianeta dove si riproducono per partenogenesi mi sembra privo di senso. Ciò che interessa agli uomini interessa le donne (…).”
E non aveva tutti i torti, anzi. Le donne esistono in questo mondo da sempre, come gli uomini d’altronde. E così sono sempre esistite anche nel mondo dei motori.
Maria Teresa de Filippis, nel 1958, quando la Formula Uno aveva solo 8 anni, fu la prima donna a qualificarsi a un Gran Premio. Nel 1974 invece fu il turno di Maria Grazia “Lella” Lombardi, che disputò ben 12 Gran Premi nella massima categoria per poi continuare a gareggiare nella World Sportscar Championship e nel Turismo. E poi ancora Divina Galica, Desiré Wilson e Giovanna Amati che gareggiò in Formula Uno negli anni ‘90. Nel motorsport odierno abbiamo donne come Susie Wolff, CEO del team Venturi in Formula E, e Jamie Chadwick, campionessa assoluta della W Series e test driver della Williams; pochi giorni fa le Iron Dames hanno vinto la 24h di Spa.
Insomma, chi nel 2022 può ancora stupirsi della presenza femminile in Formula Uno?
La Formula Uno, così come tutto il motorsport, non ha bisogno di ragazze: ha bisogno di persone competenti, ingegneri geniali e menti lucide, che siano uomini o donne. Perché non è il sesso a fare la qualità del lavoro.
Ed è per questo che anche il titolo della Gazzetta dello Sport su Hannah Schmitz, “la mamma dietro i trionfi della Red Bull di Verstappen”, perde totalmente significato. Chiamate Schmitz ingegnere, perché, per l’ennesima volta, è riuscita a formulare una valida strategia (facendo, appunto, il suo lavoro) che ha portato alla vittoria Super Max, in partenza dalla decima posizione. E la squadra austriaca, nel frattempo, allunga ancora nel mondiale.
Si parli invece di Iñaki Rueda, capo del reparto strategie Ferrari, ingegnere quanto Schmitz, che ha optato per montare le gomme hard su Leclerc, nonostante venissero sconsigliate pure dai suggerimenti Pirelli del giorno…
Giulia De Ieso (classe IIB – Liceo Classico)
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