Le farfalle stavano tornando, ma questa volta sembravano intenzionate a lasciare la scena al loro padrone. “Almeno un problema in meno” è ciò che pensai all’epoca. Il demone scese fino a fluttuare a qualche centimetro da terra. Sentii il mio agitarsi, possibile che avessi di fronte un “vero demone”? Un demone intero? Un demone puro, nelle quali vene scorreva esclusivamente sangue demoniaco? A quel punto ne ero certo. Chou continuò: – Non credo che tu abbia un vaga idea di quanto io odi la tua famiglia.
– In realtà credo di poter capire, – gli rispose Sei – tu odi me, che sono l’ultima discendente della mia famiglia, ovvero i Lanaya, quanto io odio l’assassino dei miei genitori.
– In fin dei conti non importa se capisci o no, non importa se tutti voi capite, dal momento che morirete oggi. – replicò con un ghigno inquietante sul viso, segno, compresi all’epoca, della sua pazzia.
Le farfalle ripresero ad avanzare, ma stavolta Sei era davvero troppo debole per purificarle. Si avvicinò anche il demone, ma lui aveva un obbiettivo preciso.
La battaglia stava per ricominciare. Gettai un’occhiata fugace dietro di me, per capire se gli altri stavano bene, e mi parve che fossero ancora tutti interi. Mi misi in una posizione che potevo ritenere abbastanza buona per la nostra situazione. Un attimo dopo il demone e Sei erano spariti, stavano lottando ad una velocità molto elevata, troppo elevata perché i miei occhi riuscissero a focalizzare bene come si stava svolgendo il loro scontro. Riportai il mio sguardo sulle farfalle, dal momento che sentivo il loro ronzio aumentare di momento in momento. E ricominciammo. Tranciavo di nuovo le farfalle, ma sembravano molto più testarde stavolta; quante più grandi ne uccidevo quante più piccole comparivano. Stavano iniziando a rompere il nostro cerchio, alcuni umani erano già stati avvelenati. Dovevo trovare un modo per risolvere la situazione. Cercai con lo sguardo Sei ed il demone, che ancora stavano combattendo, ma i miei occhi continuavano a non riuscire a focalizzare bene il combattimento fra i due. Decisi di chiedere aiuto ancora una volta al mio demone, e mi resi conto che Sei aveva iniziato ad usare la sua forza demoniaca dall’inizio del loro scontro. Ma lo faceva in modo parziale, cercando di trattenersi il più possibile, e questo le metteva addosso una grande goffaggine, paragonata all’agilità del demone delle farfalle. C’era bisogno che qualcuno distraesse, almeno per un momento, quel dannato Chou. La nostra formazione stava cedendo. Capii che se non mi fossi mosso in quel momento, non avrei avuto un’altra occasione. E allora scattai. Mi lanciai contro Chou e tentai di ucciderlo con il veleno dei miei artigli. Appena prima che ricevesse il mio colpo, si volse verso di me, e mi bloccò a mezz’aria. Avevo fatto un sacrificio inutile. Ma questo pensiero fu subito stroncato dalla voce di Sei, che disse: – Certo che sei idiota. Non ti hanno mai detto di non voltare le spalle al nemico?
Dopo aver sentito queste parole vidi la faccia del demone contorcersi in una smorfia orrenda di dolore. Mezzo secondo dopo vidi la ferita che glielo causava: una mano dotata di artigli gli aveva trapassava il petto e tranciato nettamente il cuore. La mano del defunto demone delle farfalle lasciò la presa sul mio braccio, ed io balzai a terra. Alzai lo sguardo in modo da poter vedere il quadro completo della scena: la mano che avevo visto apparteneva a Sei. A pensarci bene, ci sarei potuto arrivare anche prima. Dopotutto Sei era l’unica a trovarsi dietro di lui in quel momento. Era logico.
Sei si liberò il braccio scaraventando il corpo morto di Chou su una pila di scarti della vecchia fabbrica. Vacillò ed io la raggiunsi cercando di aiutarla a rimanere in piedi, ma lei respinse il mio aiuto con il cenno di una mano dicendo: – Non mi mostrerò mai debole di fronte a dei demoni, a maggior ragione davanti a degli umani. Andiamocene. – Poi, rivolta sia a me sia agli altri del nostro gruppo, disse: – Dobbiamo cambiare scuola, città, forse anche nazione.
Ricordo che stavamo per andarcene tutti quando sentimmo una voce: – A-aspettate! – era stata Ansel a parlare, – io… io volevo ringraziarvi di averci salvati!
– Se hai finito, ho già fatto presente che andiamo di fretta – le rispose Sei, tornata fredda come sempre.
– No! N-non ho ancora finito!
– Allora parla, se non vuoi che ce ne andiamo senza ascoltarti.
– Si…! Ecco… io… vorrei venire con voi!
Sei la guardò sorpresa, come il resto dei presenti d’altra parte, ed Ansel continuò, rossa in viso: – Non è solo il fatto che ci avete salvato la vita… in verità io vorrei imparare a difendermi da sola.
Sei stava per interromperla quando la ragazza le fece segno di aspettare almeno un attimo: – E detto francamente… chi può insegnarmi meglio a difendermi sia dagli esseri umani, sia dai demoni, se non i demoni stessi? Inoltre voglio imparare a conoscervi per quello che siete… perché, indipendentemente da ciò che siete, rimaniamo comunque amici, no?
Sono sicuro che queste parole colpirono Sei al cuore. All’epoca non lo sapevo con certezza ma ora posso dirlo perché colpirono anche me, ed anche all’epoca, eravamo più simili di quanto noi stessi potessimo giudicare.
Si alzò un’altra voce: – Sono d’accordo con Ansel! – era Denise questa volta – E voglio scusarmi con voi per quello che ho fatto, prometto che non rivelerò a nessun altro il vostro segreto!
E così via, dopo di lei, iniziarono ad alzarsi sempre più voci, alcune più timorose, altre meno, ma alla fine eravamo tutti. Ricordo di essere rimasto sorpreso e commosso, all’epoca. Così Sei disse: – Se siete certi delle vostre parole, venite domattina all’alba, al nostro indirizzo, e vi avverto, una volta lì, giurerete di non rivelare a nessuno questo segreto. Per cui pensateci bene, prima di venire, poiché accetteremo solo chi giurerà.
Il giorno dopo vennero tutti. E tutti giurarono. Quella sera, mi recai nello studio di Sei per farle una domanda, e per discutere di una faccenda importante.
Bussai chiedendo: – Posso entrare?
– Vieni pure – rispose Sei, come sempre sommersa di lavoro.
– Grazie, – risposi entrando – volevo discutere dell’addestramento mio e di mia sorella, e della data della nostra partenza.
– Certo. – disse lei – Ritieni che la vostra preparazione sia adeguata?
– Sinceramente no. E comunque ho un’altra domanda.
– Allora domandami perché dovrò passare il resto della notte su questa scrivania.
– Nel caso in cui decidessi di restare, mi riveleresti qual’è il tuo demone?
– Se resterai solo per questo sicuramente non scoprirai mai qual’è il mio demone.
– E se ti dicessi la verità, ovvero che rimango perché credo che abbiate bisogno d’aiuto e perché io e mia sorella abbiamo un debito da saldare? Mi concederesti di rimanere? E potrei capire che demone è il tuo, un giorno?
A queste parole lei spostò lo sguardo dai fogli che teneva in mano ai miei occhi, interessata, e disse con un sorriso furbetto: – Ti lascerei restare. E forse un giorno potresti capire qual’è il mio demone.
– Ti ringrazio, Nadine. Allora immagino che rimarrò qui e vedrò cosa si prospetta per il futuro.
– Già, il futuro… se vuoi puoi chiamarmi Sei, Gray. Se vedremo tutti insieme il futuro che ci aspetta, non vedo perché non dovrei permetterlo a tutti.
– Allora grazie, Sei.
Ci sorridemmo a vicenda: un sorriso da furbetti, di quelli in cui capisci di sapere più di quello che le altre persone intorno a te sanno. Iniziava a piacermi quel tipo di sorriso. Forse già all’epoca iniziavamo a percepire ciò che sarebbe successo fra di noi… in fin dei conti, non credo di poterlo sapere con certezza. Ciò che ricordo bene, è che alzammo entrambi lo sguardo alla magnifica luna che si trovava in cielo, in quella bellissima sera, che andava diventando una sognante notte stellata.
Fine
Alys
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