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La Cina “scoperta” da una ragazza di origine cinese nata in Italia

27 Aprile 2019 by admin_rapsodia 1 Comment

Nella seconda metà del mese di marzo in concomitanza con la visita del presidente Xi Jinping in Italia, abbiamo affrontato col prof Andrea Vento nell’ambito del programma di geografia economica lo studio della Repubblica Popolare Cinese, della quale quest’anno ricorre il 70esimo anniversario della fondazione.

Pur essendo nata in Italia da genitori di origine cinese, la mia conoscenza del paese di provenienza risultava alquanto carente per cui mi sono interessata molto a questo argomento sino ad appassionarmi a tal punto da approfondire i vari aspetti ambientali ma soprattutto umani, sia storici che attuali, della Cina. Mi sono pertanto offerta di approfondire 2 aspetti importanti della Repubblica Popolare Cinese: il primo riguarda l’evoluzione dei modelli economici adottati dal Gigante asiatico dal 1949 ad oggi, mentre il secondo analizza i 4 sistemi sanitari che si sono succeduti nello stesso arco di tempo.

 

Sistema economico cinese dal 1949 a oggi

La struttura economica della Cina odierna, è rappresentata dall’economia socialista di mercato, caratterizzata da un sistema misto tra mercato e pianificazione. All’interno di questo sistema, l’autoritarismo politico è dovuto all’esistenza di un sistema socialista (sin dal 1949), che diviene compatibile con un’economia di mercato sviluppatasi dai processi di riforma negli anni Ottanta.

La Cina si può considerare un’economia chiusa, pianificata e ispirata al modello di sviluppo sovietico, dalla rivoluzione comunista cinese (1949), fino all’epoca maoista (1978).

La nascita dell’economia socialista di mercato, avvenuta sin dai processi di modernizzazione del 1978, segna una linea netta di discontinuità con tale passato maoista.

Negli anni Ottanta, seppur nella ferma intenzione di mantenere un sistema economico di tipo socialista, si avvia un ampio programma di riforme strutturali che porta ad un progressivo abbandono del sistema pianificato di stampo marxista. Il complesso di riforme strutturali, non conduce né ad un capitalismo tout court né ad un’economia di mercato, ma ad un sistema misto. La Cina ha completato la transizione dal socialismo al capitalismo nel 2001 allor che aderì al Wto (organizzazione mondiale del commercio) inserendosi a pieno titolo nel sistema del capitalismo globalizzato diventando negli anni seguenti la seconda potenza economica mondiale dopo gli Stati Uniti. Negli ultimi 30 anni la Cina è stata caratterizzata da una tumultuosa crescita economica, con un tasso medio di crescita del pil del 10% annuo, sospinta da una straordinario processo di industrializzazione che ha interessato soprattutto le aree costiere, le quali hanno aumentato il divario rispetto a quelle interne. Anche a livello sociale, la crescita economica ha prodotto un aumento delle disuguaglianze che ai tempi di Mao erano invece minime; si è creata infatti una corposa classe media che ha gusti e livelli di consumo simili a quelli delle corrispondenti classi del mondo occidentale.

 

Sistema sanitario cinese ieri e oggi

L’evoluzione del sistema sanitario cinese, è diviso in 4 diverse fasi storiche.

La prima fase, che va dal 1949 al 1983, è il periodo che corrisponde all’ascesa al potere del Partito Comunista Cinese (quando c’era Mao Tse Tung).

Il governo strutturò il sistema sanitario sulla base di quello degli altri stati comunisti come l’Unione Sovietica e i paesi dell’Europa Orientale; venne realizzato un sistema centralizzato di assistenza sanitaria e gli operatori sanitari divennero tutti impiegati statali.

Non era necessaria alcuna assicurazione sanitaria, poiché i servizi erano gratuiti e a copertura universale, tramite la formazione dei “medici scalzi”, contadini a cui è stata data un’istruzione sommaria nel campo medico-sanitario, affinché fossero garantiti i servizi medici essenziali nelle campagne.

Furono prese altre misure sanitarie, come ad esempio:

  • i servizi di vaccinazione di massa
  • lo sviluppo dell’igiene pubblica
  • le campagne contro le malattie infettive

Furono attuate differenti modalità di organizzazione e di finanziamento dei servizi sanitari a seconda che si trattasse di strutture di città o di campagna:

  • le città godevano del finanziamento statale
  • per le campagne venne istituito il sistema medico cooperativo (un sistema assicurativo a base comunitaria, che copriva tutti i lavoratori del settore agricolo)

Grazie a tutti questi interventi, i tassi di mortalità infantile calarono da 200 a 34 ogni 1000 nati vivi e furono debellate molte malattie che da secoli affliggevano il paese.

La seconda fase, che va dal 1984 al 2002, è il periodo in cui il Partito Comunista Cinese, guidato da Deng Xiao Ping, convertì la Cina in un economia di mercato.

Con l’avvio delle riforme economiche, il sistema medico cooperativo collassò, lasciando la maggioranza della popolazione senza assistenza sanitaria. Nel 1999, solo il 49% della popolazione della città possedeva un’assicurazione sanitaria, ed appena il 7% della popolazione delle campagne aveva una qualche forma di copertura sanitaria.

La terza fase, che va dal 2003 al 2008, il governo iniziò dei primi provvedimenti verso il sistema sanitario, che hanno portato all’assicurazione cooperativa medica rurale e all’assicurazione per le aree urbane basata sulla residenza per le fasce più deboli della popolazione

Nella quarta fase, che va dal 2009 ad oggi, vennero introdotte ulteriori riforme in 5 aree: servizi, farmaci, sanità pubblica e assicurazione basate sul principio della solidarietà sociale e dell’uguaglianza di accesso.

Nonostante ci siano queste riforme, sussistono ancora alcune serie di problemi, come ad esempio:

  • le differenze della sanità fra le città e le campagne
  • la predilezione dei medici per il profitto invece che verso le condizioni di salute dei pazienti
  • la presenza di ospedali pubblici che operano come entità con scopo di lucro

 

Conclusione

Questo approfondimento mi ha aiutato a prendere coscienza dello sviluppo della Cina degli ultimi cinquant’anni (dai tempi del presidente Mao Tse Tung fino ad oggi). Attraverso questo percorso sono riuscita a scoprire aspetti molto importanti di cui non ero a conoscenza e “comprendere” il mio paese d’origine .

Linda Wu – classe 2 B AFM

 

Nota all’articolo

Un articolo realizzato dalla nostra studentessa di 2b Linda Wu, nata in Italia ma di origine  cinese.

La sua puntuale testimonianza dimostra come i ragazzi appartenenti a famiglie di provenienza straniera nati in Italia non solo sono cresciuti assorbendo la nostra lingua e la nostra cultura ma talvolta hanno anche scarse conoscenze della realtà del paese di provenienza. Il loro sentirsi italiani tuttavia non è sufficiente per l’ottenimento della cittadinanza.

La riforma della legge sull’acquisizione della cittadinanza, con il superamento dell’attuale principio ispiratore (ius sanguinis), non solo rappresenta una conquista di civiltà ma soprattutto consentirebbe di allineare il sentimento di questi nuovi italiani allo proprio status giuridico che oggi, in base alla legge vigente, offre loro l’opportunità di acquisirla solo al raggiungimento del 18esimo anno di età, previa la domanda da presentare esclusivamente nella prevista finestra di un anno entro il limite del 19esimo compleanno.

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Filed Under: Rubriche, Tò perìechon

Comments

  1. Rita Prestianni says

    30 Aprile 2019 at 5:44 pm

    Nei processi migratori il dato più importante è la quota sempre più ampia di alunni stranieri che sono nati in Italia, le cosiddette seconde generazioni, che spesso riconoscono l’italiano come propria lingua madre, vivono con e come i coetanei italiani e si sentono tali a tutti gli effetti, condividendo con loro ogni cosa eccetto la cittadinanza e ciò che essa comporta, in termini di riconoscimento giuridico e di diritti. Si tratta di identità non riconosciute dalla legge e spesso scisse tra due mondi culturali di riferimento, ora in conflitto con le famiglie immigrate d’origine, quando ne rifiutano il modello identitario per abbracciare quello italiano, ora con la società italiana, quando accade il contrario. Nel primo caso essi rischiano un doppio conflitto: oltreché con la famiglia d’origine, perché si sentono italiani, anche con la società ospitante, se, al momento di inserirsi nel mondo del lavoro o nei contesti di partecipazione sociale, verranno comunque discriminati perché formalmente stranieri.
    Se fino a diversi anni fa la priorità della scuola in Italia era di mandare a regime una didattica meno incentrata sulla sola storia, geografia e cultura italiana e più aperta alla conoscenza dei Paesi e delle tradizioni del resto del mondo, in considerazione delle provenienze e dei portati culturali degli studenti stranieri, oggi che i tre quinti di essi sono nati e cresciuti in Italia senza esserne cittadini, la priorità è diventata la necessità di affrontare e gestire il loro conflitto d’identità, perché esso non finisca per esplodere, quando, usciti dalle aule, questi giovani si inseriranno nella società

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