“Mi pare che si possa affermare che molta sedicente superumanità nicciana ha come origine e modello dottrinale non Zarathustra, ma il Conte di Montecristo”. Così Gramsci nel terzo dei suoi quaderni dal carcere dedicato a “letteratura e vita nazionale”; e così l’incipit del saggio di Umberto Eco “Il Superuomo di massa – Retorica e ideologia nel romanzo popolare”.
Il libro di Eco, che ha come presupposto la sopracitata “idea fissa” – così l’autore la definisce – ci propone un quadro storico-letterario del romanzo popolare quale risultato di un’indagine narratologica e semiologica il cui scopo è l’identificazione delle diverse incarnazioni del Superuomo. Eco ci accompagna in una trattazione che attraversa duecento anni di letteratura e che raccoglie e analizza personaggi ormai icastici dell’occidente: dagli eroi dei romanzi di Eugene Sue, passando per il Conte di Montecristo, Arsenio Lupin, I Beati Paoli e i protagonisti dei romanzi erotici di Pitigrilli fino alla celebre creazione di Ian Fleming, James Bond. Ma chi, esattamente, è il Superuomo? Il saggio di Eco non dà al lettore una risposta; Eco è un semiologo e non un sociologo. Dandone per scontata la definizione, Eco illustra i vari avatar superumani e traccia uno schema caratteristico della struttura narrativa dei romanzi in cui ricoprono il ruolo di protagonista. Svela gli intrighi topici e i contorni ricorrenti dell’archetipo del romanzo popolare; si interessa di come la sua composizione debba legarsi alla fruizione del pubblico – che ha ormai assimilato le traversie ripetitive delle trame – e ci racconta di come i personaggi agiscano e interagiscano seguendo rigidi modelli. Tuttavia, sin dalle prime pagine, sostiene l’assunto dell’inseparabilità tra il tessuto sociale di un periodo storico e la sua produzione artistica, in questo caso letteraria. La sua analisi è perciò rivolta a quella che potremmo definire, con un termine pesantemente hegeliano, una Figura dello Spirito, l’espressione culturale delle istanze di un’epoca. L’aspirazione di questo breve articolo è invece, partendo sempre dal prezioso spunto narratologico di Eco, disfare le singole caratteristiche di questa Figura dello Spirito avvicinandoci tramite essa a un’analisi della società che le ha prodotte e che, come di seguito sarà esposto, sta ancora producendo.
Ma com’è il Superuomo? Il Superuomo è prima di tutto bello, di statura imponente come il Conte di Montecristo; la sua forza fisica si raccoglie nello sguardo; gli occhi sono lo strumento con cui assoggetta chi lo circonda; il suo discorso è ammaliante, gli fa ottenere dagli altri sempre ciò che vuole, o con raffinati sofismi o con appena poche parole, cariche tuttavia della sua aurea di maestoso carisma; è smodatamente, incommensurabilmente ricco, e il danaro è infatti il veicolo della sua Volontà di Potenza. A sintetizzare questa descrizione non c’è espressione migliore del proverbiale slogan di un dopobarba degli anni ’80: questo Übermensch è “l’uomo che non deve chiedere, mai”. Da quanto detto deriva l’ultima caratteristica comune, la più propriamente superomistica nell’accezione nicciana del termine: in virtù di quella loro potenza economica – che vediamo tradursi e manifestarsi nel loro aspetto – i Superuomini di massa agiscono al di là di ogni morale, di ogni legge, di ogni istituzione a cui invece sono sottoposti tutti che hanno attorno. Pur rimanendo gli eroi “positivi” dei loro romanzi: Montecristo è un assassino in cerca di vendetta, Lupin è un ladro, Vathek praticamente un satanista, i personaggi di Pitigrilli dei maniaci sessuali e Bond fa parte di quella chosen few di agenti 00 autorizzati ad uccidere.
“Sono il re della creazione, mi piace un luogo, vi resto; me ne annoio parto, sono libero come gli uccelli, ho ali come quelli. La mia giustizia è tutta personale… ah! se poteste gustare la mia vita, non ne vorreste altra e non rientrereste già mai nel mondo.” Così si descrive il protagonista di quel libro che, alla luce di quanto detto, potrebbe intitolarsi ‘Così parlò Montecristo’. Libertà, vendetta, giustizia, divinità: sono queste le parole che tornano più volte nei discorsi del Conte, parole note solo a quegli uomini “che il Signore collocò al di sopra degli altri” degli “esseri eccezionali”, gli unici non in catene e che possono ciò che vogliono. Il ricorrere a un’idea di morale aristocratica, di libertà elitaria, di giustizia violenta è quello che permette di confrontarsi col Nietzsche della “Genealogia della Morale”, testo in cui è teorizzata ed esposta la moralità del signore. Chi per primo ha decretato cosa è moralmente buono? “[…] Sono stati i nobili, i potenti, gli uomini di condizione superiore e di elevato sentire ad aver avvertito e determinato se stessi e le loro azioni come buoni”, sono i “mallevadori” di loro stessi, i soli liberi, i soli capaci di dire sì alla vita, i soli tanto forti da poter giustiziare e graziare, vendicare e perdonare, dare e togliere: i padroni del mondo. La loro pura e nobile giustizia è per i deboli l’oppressione e la schiavitù; così gli ultimi tra gli uomini, per invidia e risentimento, hanno creato la loro morale ascetica e la loro giustizia stantia, a cui i Signori sono estranei.
Siamo finalmente arrivati al punto di poter dire questo: se è vero che ogni era ha i suoi eroi, il Superuomo di massa è l’eroe del capitalismo. Ma come può l’eroe del capitalismo – e perciò della borghesia e del sistema – essere così anti-istituzionale? Può aiutarci nella risposta quello che dice l’economista austriaco J. A. Schumpeter nel saggio “Sociologia dell’imperialismo” – quale evento infatti è stato più retoricamente superumano dell’imperialismo coloniale? – in cui descrive la società capitalista, responsabile del colonialismo, intrisa di “istinti di lotta e idee di supremazia maschile”, una società in cui valori guerrieri e cavallereschi vengono risemantizzati in ambito economico. La battaglia ad arma bianca diventa quella in borsa, e il vincitore di questa nuova guerra, ovviamente uomo, torna a essere carico delle virtù del guerriero: è forte, superiore, ardito, ha tutto e subito. Il rinnovato e imperante machismo trova sfogo in questi valori, condivisi da un’estetica della forza e da un’etica dell’economia, per cui chi è ricco vince, chi vince è forte e logicamente chi è forte e ricco.
È evidente che non essendo ancora usciti da quel tipo di schema socio-economico si continuino a produrre eroi di massa di questo tipo. Non stupisca il successo di personaggi come Jordan Belfort di “The Wolf of Wall Street”, Bruce Wayne della serie di Batman (il cavaliere oscuro), e infine proprio lui, lo sfumatissimo Mr Grey. Tutti un po’ perversi, amabilmente fuori legge, ma soprattutto ricchi. Se come ci insegna Eco la topica della letteratura è frutto della società in cui viviamo, non siamo troppo lontani dall’Ottocento.
Lorenzo Antonelli (IIIA)
Articolo interessantissimo.
Conoscendo le riflessioni di Gramsci ed Eco sulla figura del superuomo nella letteratura popolare, mi ha colpita particolarmente la conclusione finale che collega il superuomo al potere economico e maschile.
Complimenti all’autore!