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La Nostra Storia – parte 3

28 Gennaio 2018 by Alice Z. 3 Comments

Sheila e io continuavamo a rimanere in silenzio e ad avere un’espressione sbalordita, anche se avevamo imparato che c’erano gravi punizioni se si disobbediva a un ordine diretto della direttrice, così ci sedemmo accanto alla signorina Parker.

Quell’ufficio era abbastanza accogliente, a pianta rettangolare, con due librerie rispettivamente alla destra e alla sinistra della scrivania, ai lati della portafinestra che dava su un piccolo e stretto balcone. C’erano poi un termosifone vicino all’entrata, un divano sul lato opposto e le tre poltrone su cui eravamo accomodati io, Sheila, e la signorina. Più che all’ambiente, a cui ero abbastanza abituato, mi interessai alla persona estranea che vi era all’interno, poiché in orfanotrofi poco rinomati come il nostro non arriva quasi mai nessun visitatore, tanto meno per adottare dei ragazzi. La signorina si sentì il mio sguardo addosso, tanto che sollevò la testa dalla marea di documenti e mi sorrise, dicendo: – Sì, è vero, sono venuta qui per adottarvi. Farei volentieri la vostra conoscenza, ma per il momento credo che potremo solo stringerci la mano. A meno che non vogliamo restar qui fino a sera – disse lanciando uno sguardo annoiato ai documenti.

– Comunque piacere, io sono Emma Parker, e spero che d’ora in poi ci troveremo bene insieme. Se non vi dispiace preferirei che mi parlaste dandomi del tu e mi consideraste vostra sorella maggiore.

– Piacere, io sono Gray – dissi, stringendo la mano che la mia nuova sorella mi porgeva.

– E io sono Sheila – aggiunse timidamente la mia sorellina.

– Bene ragazzi, direi che potete tornare a fare lezione. Quando avrete finito, fate le valigie e ripresentatevi qui.

– Si, direttrice – dicemmo insieme con una sintonia praticamente perfetta, che, come desideravamo, la scombussolò un po’, mentre provocò una leggera risatina alla nostra nuova sorella.

Mi sarei aspettato che succedesse qualcosa, e che la richiesta di adozione fosse annullata. Ma non fu così, ed alle 13:20 ci trovammo pronti nell’ufficio della direttrice, dove la povera signorina Parker aveva continuato a compilare documenti per tutto il tempo. Mettendo un’ultima firma su una pila di fogli che mi sarebbe arrivata all’incirca al ginocchio, la signorina Parker tirò un sospiro di sollievo e disse: – Beh, credo che possiamo iniziare ad avviarci verso casa.

Detto fatto. Ci ritrovammo in una macchina apparentemente costosa a osservare il nostro incubo peggiore che si allontanava fino a scomparire dietro una curva.

– Non ci vorrà molto, ancora qualche minuto e potrete conoscere tutta la famiglia.

– Vivi con dei parenti quindi? – disse Sheila, e io replicai: – Sheila, non dovremmo farle domande personali, ci conosciamo appena!

– Tranquillo Gray, per me non è certo un problema rispondere a una domanda simile.

– Allora puoi rispondermi? Sai, sono molto curiosa.

– Certo! Vivo con tre ragazze che per me sono come sorelle, e i loro animali. Ah, Gray, mi dispiace per te ma sarai l’unico ragazzo nella nostra casa.

– Spero di riuscire ad adattarmi…

– Davvero avete tre animali in casa!? Deve essere una casa bellissima! Puoi dirmi che animali sono? – soggiunse Sheila, che come mi aspettavo, aveva iniziato subito ad aprirsi: buon segno. Significava che la nostra nuova sorella le piaceva, e per il momento non avrei potuto chiedere di meglio.

– Sono un leprotto e due gatte. Andiamo tutti d’accordo.

– Allora speriamo di non rompere questa armonia con il nostro arrivo – dissi io, ma rimasi così stupito dalla bellezza e dalla grandezza delle case che si trovavano nel quartiere in cui eravamo entrati che ammutolii seduta stante. Sentii Sheila che mormorava un wow. Io non riuscivo ancora a proferire una sola parola, così continuai a guardare fino a quando Emma fermò la macchina davanti a un’ampia villa.

Dall’aspetto sembrava abbastanza vecchia, con la bellissima architettura del Rinascimento, gli archi delle finestre scolpiti in modo da farli sembrare avvolti da rami e rampicanti. A rendere completo quest’effetto si trovava il giardino, pieno di alberi e piante delle specie più diverse, i rami strusciavano contro gli archi facendo quasi confondere la pietra scolpita con le piante stesse.

Vi erano due colonne, in parte inglobate nei muri, con capitelli che da una parte raffiguravano demoni antichi nella loro forma primordiale, mentre dall’altra stavano invece delle sacerdotesse che tentavano di purificarli. Notai che sembravano scontrarsi per qualcosa, e ruotai il mio sguardo in cerca di quell’elemento che credevo cruciale per comprendere appieno la raffigurazione. Lo trovai poco più in alto, disposto al centro dell’arcata che sovrastava la porta principale: si trattava di una ragazza che sembrava essere una mezza-demone, con una forza demoniaca distruttiva ma anche un potere spirituale enorme, appartenente evidentemente alla sua parte umana. Decisamente l’artista aveva voluto che fosse una figura più potente sia dei demoni sia delle sacerdotesse. La ragazza al centro dell’arcata mi sembrava molto familiare, avevo l’impressione di averla già vista da qualche parte.

Emma parcheggiò l’auto nel lato destro del giardino, dove vidi anche una dépendance, che dall’aspetto giudicai disabitata da qualche anno, e ci disse di scendere. Mentre camminavamo verso l’ingresso alzai di nuovo lo sguardo sull’arcata e mi fermai a riflettere su dove potevo averla già vista, quando sentii Sheila che mi chiamava: – Gray, cosa stai facendo? Avanti vieni, voglio conoscere gli altri!

– Ho capito, arrivo. Emma, puoi dirmi cosa sono queste raffigurazioni?

– Ah, ti riferisci ai capitelli. Si tratta di una raffigurazione molto antica, ho fatto fare delle ricerche e ne ho fatte io stessa, ma con mio grande disappunto non siamo ancora riusciti a risalire all’artista.

– Capisco…– dissi pensieroso.

– Ma adesso entrate, dovete conoscere le tre ragazze con cui vivo ed i loro animali.

– Evviva non vedo l’ora! – era la prima volta che sentivo mia sorella parlare in questo modo, e pensai che le avrebbe fatto bene farsi delle amiche.

Così entrammo. Ci ritrovammo in un ampio atrio, con un grande tappeto che partiva dall’entrata e finiva, dividendosi davanti in due scalinate, diventando due tappeti diversi. Mi chiesi quanto tempo ci avesse messo il suo artigiano a tesserlo, e pensai che chiunque l’avesse sistemato così bene aveva dovuto metterci altrettanto tempo. Le scale conducevano a un primo piano che assomigliava a una terrazza, se lo si guardava dal pianterreno, e poi a un secondo piano, che però non riuscivo a vedere. Notai che dopo il secondo piano solo una delle due scale continuava, accostandosi alla parete e restringendosi notevolmente, senza neanche un corrimano a cui appoggiarsi, e finiva probabilmente conducendo in una sorta di attico.

Dopo aver appoggiato la sua giacca ed averci invitato a fare lo stesso, Emma chiamò: – Ragazze, sono arrivati i nostri nuovi amici!

Sentii dei rumori di corsa e qualche secondo dopo due ragazze si affacciarono ai due lati rispettivi della scala, si guardarono e sorrisero dicendo:– Bentornata, sorellona! Li hai trovati quindi?

– Guardate voi stesse ragazze! – esclamò Emma. Anche quelle due ragazze mi sembravano familiari, ma non riuscivo a ricordare dove le avevo viste. Una era piuttosto bassa, l’altra aveva un’altezza media; entrambe avevano gli occhi marroni e i capelli castani, questi ultimi erano un po’ più scuri nella seconda.

La prima insistette per presentarsi insieme all’altra ragazza, che chiamò Nadine: – No no, noi siamo un trio quindi ci presentiamo tutte insieme – a queste parole sopraggiunse un miagolio e una gatta le saltò in braccio. Era una gatta grigia, ma aveva ventre, petto e mento bianchi, sulla sua schiena si trovavano due strisce di blu scuro, quasi nero, a separare il grigio di cui era colorata dal bianco della pancia. Sul dietro del capo era un po’ tigrata dello stesso blu scuro, con l’aggiunta di piccole macchiette dell’omonimo colore fra le strisce, mentre sul muso aveva una marea di macchie su uno sfondo grigio: alcune erano bianche, altre blu scuro, ed altre ancora erano piccole e nere. Mi guardò con due occhi gialli da gatta, che davano l’impressione di una certa diffidenza, ma al contempo di un’eccitazione trattenuta a stento.

La ragazza continuò: – E così vuoi avere la precedenza, eh? Va bene. Lei si chiama Mia! – disse, alzando la voce perché la sentissimo meglio. Il tempo che finisse la presentazione della gatta, e arrivò una lepre dall’altra ragazza. Si trattava di una lepre dal manto bianco come la neve, mentre gli occhi erano rossi come il sangue, simili a quelli di mia sorella Sheila. La ragazza a cui era saltata in braccio la presentò: – Lui invece è Leprecauno.

– D’accordo, sono contenta che siano arrivati anche loro, ma avete idea di dove sia Nadine? – disse con dolcezza Emma.

– A dire la verità credo che Nadine stia lavorando, non sono sicura che li riterrà abbastanza importanti da fermarsi… – disse la ragazza che teneva in braccio Mia.

– Credo proprio che stavolta farà quello che dico io – disse Emma, mentre si avvicinava ad un interfono. Quella villa doveva essere davvero grande se le sue abitanti sentivano il bisogno di quell’utile strumento.

– Questo è quello che pensi tu, come al solito… – mormorarono in coro le due ragazze.

Emma si accostò all’interfono e disse: – Nadine, vieni nell’atrio, sono arrivati due nuovi membri della famiglia.

A risposta di queste parole, pronunciate più come se fossero un ordine che una richiesta, risuonò una voce gelida proveniente dall’interfono, che all’epoca mi sembrava anch’essa familiare: – Sto lavorando. Se sono interessati a conoscere me e Kira, che vengano nello studio.

Subito dopo la fine del messaggio, il colorito di Emma cambiò dal suo normale rosa chiaro al rosso ardente, e stava per urlare qualcosa all’interfono, quando sembrò ricordarsi di una cosa così importante che si trattenne. Rimase ferma per qualche secondo, probabilmente cercando di controllare la rabbia, e poi, lievemente stizzita, disse: – Ragazze, devo finire di sbrigare le faccende per la loro adozione, se desiderano conoscere Nadine adesso, accompagnateli nello studio e dopo assegnategli le loro camere.

– Alla fine è andata come al solito… – mormorò tristemente la ragazza accanto alla quale sedeva Leprecauno, dopo che Emma si fu allontanata sparendo dietro la porta di una stanza vicina – Ma d’altra parte non ci possiamo fare niente.

– È quello che stavo per ripeterti ma sembra che tu l’abbia finalmente imparato – sospirò l’altra ragazza – Comunque, volete conoscere Nadine o preferite che vi mostriamo la via per le vostre camere?

Sheila stava per rispondere qualcosa, ma io la precedetti dicendo: – Personalmente sarei curioso di conoscere questa Nadine. – finii la frase guardando mia sorella con uno sguardo interrogativo, e non ebbi bisogno di esprimere la mia domanda a parole, poiché, avendo subito afferrato il concetto, Sheila disse che per lei non faceva differenza. Sapevo che mentiva. A parte il fatto che avevamo una connessione naturale in quanto fratello e sorella, sarebbe bastata una persona con un po’ d’ingegno, per capire che lo diceva fingendo di essere disinteressata. In futuro mia sorella sarebbe diventata una grande bugiarda, e sarebbe molto utile se diventassi anche io un grande bugiardo, dato il lavoro che svolgiamo attualmente.

In ogni caso, riprendendo da dove eravamo rimasti, le due ragazze scesero per la rampa di scale e ci guidarono attraverso alcune stanze, fra cui diversi salotti, da cui ebbi modo di capire che lo stile della casa era un mix fra il rustico, il moderno, il medievale e quello rinascimentale (quest’ultimo già suggerito dall’esterno della villa). Ci fermammo davanti ad una porta di legno decorata con una pittura argentea. Le due si guardarono, e poi quella accompagnata da Leprecauno bussò alla porta, dicendo: – Nadine, i nuovi arrivati desiderano conoscerti.

– Che entrino dunque – rispose la voce misteriosa che avevamo già avuto modo di ascoltare. A quelle parole la stessa ragazza che aveva parlato aprì la porta, e così fummo introdotti in un lussuoso studio. Questo studio aveva una pianta rettangolare, ed il suo pavimento era adornato con un tappeto rustico, adatto agli ultimi mesi di quell’anno, particolarmente freddi. Sul lato sinistro rispetto alla porta dalla quale eravamo entrati, si trovava una scala in legno, che conduceva ad una stanza al piano superiore, di cui l’entrata era però coperta da alcune pesanti tende rosse. I muri erano bianchi e si intonavano a delle gigantesche tende leggere di colore rosa chiaro, poste su una finestra al lato opposto alla scalinata, che arrivava fin quasi al soffitto partendo all’incirca da cinque spanne dal terreno, una finestra composta da diverse lastre di vetro quadrate, alcune delle quali erano contornate da sottili sbarre d’acciaio e sembravano poter essere aperte come finestre. Nel lato opposto al quale ci trovavamo, prendeva posto una grossa libreria, che a differenza della finestra, partiva da terra, fino a fermarsi poco prima di quest’ultima. Vicino alla libreria si trovavano una scrivania, ricoperta di diversi scritti, vecchi e nuovi in apparenza, e dal nostro lato tre comode poltrone. Fra la libreria e la scrivania c’era invece una sedia girevole (come se non bastasse rossa anche quella) girata in modo che non potessimo vedere chi vi era seduto sopra, tuttavia spuntavano dallo schienale due mani intente ad esaminare un altro scritto.

– Presentatevi – ci sussurrò la ragazza accompagnata da Mia. Così decisi di farmi avanti per primo e mi presentai: – Io mi chiamo Gray.

– Ed io sono Sheila – soggiunse timidamente mia sorella.

– Capisco – rispose Nadine, senza voltare la sedia su cui era seduta.

– Non hai nient’altro da aggiungere!? – disse Emma, precipitandosi dalla camera vicina, e provocando così un grande volteggio delle tende rosse, che continuarono ad agitarsi lievemente per via di una brezza di cui non riuscivo ad individuare la provenienza.

– Cos’altro dovrei aggiungere? In fin dei conti mi conoscono già.

– Sai bene che non dovresti omettere le presentazioni ufficiali neanche con loro! Inoltre non conoscono ancora Kira!

– Va bene, ho capito. Presentazione ufficiale sia – disse, girando la sedia e riponendo sulla scrivania il foglio che aveva in mano. In quell’istante compresi perché aveva detto che la conoscevamo, infatti io e Sheila spalancammo la bocca, ma Nadine fu più rapida di noi e continuò la frase dicendo: – Il mio nome è Nadine Lanaya, e lei è Kira – disse facendo riferimento alla gatta demoniaca (cosa di cui all’epoca mi stupii molto) che le stava tranquillamente accucciata in grembo con gli occhi chiusi: – Piacere di conoscervi ufficialmente, Gray e Sheila.

Fine parte 3

Alys

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  1. La Nostra Storia – parte 1 ha detto:
    28 Gennaio 2018 alle 11:26 am

    […] >> Leggi la terza parte del racconto […]

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  2. La Nostra Storia – parte 2 ha detto:
    28 Gennaio 2018 alle 11:26 am

    […] >> Leggi la terza parte del racconto […]

    Rispondi
  3. La Nostra Storia – Indice delle puntate ha detto:
    2 Marzo 2018 alle 5:40 am

    […] >> Terza parte […]

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