
Passarono diversi giorni in cui non vidi “lei”, ma non smisi mai di pensarle. Ogni tanto origliavo delle chiacchiere e piano piano riuscii a farmi un’idea riguardo chi era e che potere aveva, ed ero certo che avesse un qualche potere, probabilmente benigno, dal momento che l’avevo vista seguire dei corsi speciali.
Stando alle chiacchiere che si sentivano in giro su di lei, aveva un potere spirituale, così grande da poter sconfiggere il più grande dei demoni. Tuttavia era scostante e indifferente con gli altri, motivo per cui si era guadagnata un soprannome che sembrava non dispiacerle dopotutto: la definivano ragazza-spirito e, visto che il Giappone si considerava la patria dei demoni e delle sacerdotesse, avevano deciso di chiamarla Seishin, ovvero spirito in giapponese. Scoprii anche che Seishin andava sempre in giro con due amiche fidate: Aurora, una ragazza di bassa statura che dimostrava tredici anni nonostante ne avesse quindici, con capelli corti color castano chiaro, ed occhi marroni; e Anne, una ragazza di statura media, anche lei con occhi marroni e capelli castani, questi ultimi però più scuri dell’altra ragazza.
In ogni caso io avevo occhi solo per Seishin, della quale non avevo ancora scoperto il vero nome: era anche lei una ragazza dagli occhi marroni e dai capelli castani, che però portava lunghi, a volte legati e a volte sciolti, dotati di incantevoli riflessi dorati. Al contrario di Aurora, lei dimostrava un anno di più della sua età reale, poiché il suo aspetto nel complesso la faceva sembrare una sedicenne.
Le ricerche che facevo continuavano a dare i loro frutti, tuttavia ancora non riuscivo a scoprire il suo nome, cosa di cui ero molto sorpreso, dal momento che chiunque conosceva il suo cognome, Lanaya. Un giorno, a ricreazione, ottenni un’altra preziosa informazione: quando sentii due ragazze che parlottavano tra loro, decisi di sfruttare quell’odiosa maledizione che mi porto dentro per procurarmi un po’ più di udito (da quando avevo incontrato “lei” per la prima volta il controllo sul mio demone era migliorato moltissimo), e fui contento di capire che il mio piano funzionava. Le ragazze stavano discutendo tra loro a proposito dei diversi soprannomi di “lei”:- Sai, ho sentito dire che le amiche di Lanaya la chiamano Sei, sembra che sia per abbreviare Seishin.- diceva una, e l’altra replicava – Deve piacerle molto quel soprannome, beata lei! Anche io vorrei essere famosa ed avere un soprannome simile!- A quel punto persi l’interesse per la conversazione, ormai sapevo ciò che desideravo, e dubitavo che quelle due mi avrebbero potuto fornire un qualche altro dato importante.
Poi arrivò l’ultimo giorno di permanenza come ospiti di quelle scuole: ero nervoso, e facilmente irritabile. L’idea di non poter più rivedere quella ragazza mi faceva infuriare. Era l’ultima ora, e casualmente il destino mi giocò lo scherzo che lei fosse in palestra, a fare la sua lezione proprio in contemporanea alla nostra. Ero furioso, mi sembrava di esplodere dalla rabbia. Per un momento immaginai i modi più diversi e sanguinari con cui avrei potuto rimanere in quegli edifici giorno e notte, senza farmi trovare. Poi ripensai a Sheila. Non se la sarebbe cavata senza di me. Quel pensiero pose fine ai miei sogni e in quell’esatto istante mi resi conto che era stato un errore madornale anche solo iniziare ad immaginarli. Stavo perdendo il controllo. E cosa peggiore, lo stavo perdendo in un luogo pubblico, dove potevo fare del male alle persone. Raggiunsi l’insegnante e, disperato com’ero, le chiesi di poter andare al bagno, ma lei mi disse che per un motivo che ormai non ricordo più era necessario che aspettassi qualche minuto. Ciò mi fece esplodere. Ricordo poco di quella volta. Sono certo di aver urlato e di aver sentito le urla di persone spaventate, stavo per colpire qualcuno quando fui fermato. La persona che mi aveva fermato mi aveva afferrato il polso al momento giusto, in modo che la mia stessa forza mi fosse d’intralcio. E faceva male. Accidenti se faceva male. Per un attimo rimasi bloccato, sorpreso e allo stesso tempo spaventato, e man mano che la mia mente riprendeva possesso del mio corpo mi resi conto che a fermarmi era stata una ragazza, e provate ad indovinare quale ragazza. Esatto, Seishin in persona. Ricordo che in quel momento strabuzzai gli occhi e pensai: complimenti all’idiota che scatena la sua forza demoniaca davanti alla ragazza che gli piace. La sentii dire:- Tutto a posto professoresse, è stato posseduto da un demone, niente di più… ovviamente l’ho purificato.
Ma io non ero stato posseduto da un demone. Io ero il mezzo-demone. E per giunta il mio demone era vivo e vegeto, dentro di me, l’unica cosa che Seishin gli aveva fatto era paralizzarlo! Non riuscivo a capire perché avesse mentito, ero sicuro del fatto che poteva percepire il mio demone. Poi iniziai a riflettere. Se lei poteva percepire il mio demone, poteva percepire anche quello di Sheila. E doveva averlo percepito dal nostro primo incontro! Non ci stavo capendo niente. Più riflettevo e più mi sembrava di non capire. Così decisi di chiedere direttamente a “lei”. O meglio era quello che avrei voluto fare, ma non appena aprii bocca “lei” mi lasciò andare e si avviò fuori dalla palestra, dal momento che la campanella era suonata. E io caddi per terra. Come un perfetto salame, aggiungerei. Ma non sapevo ancora ciò che mi aveva realmente fatto. Aveva cambiato la vita del mio demone, e di conseguenza anche la mia. Ma io questo non lo sapevo ancora.
Ad avvicinarsi a me ed a tendermi una mano per aiutarmi fu mia sorella Sheila:- Dai fratellone, dobbiamo tornare all’orfanotrofio. Persino io ho capito che ti piace quella ragazza e vorresti rimanere in questa scuola, ma lo sai che non possiamo.
A quel punto non mi rimaneva molto da fare, così mi alzai in silenzio e la seguii verso la nostra professoressa, che ci stava facendo segno di muoverci.
Ricordo che nei giorni successivi fui più depresso che mai. Se prima ero contento di riuscire a dare a Sheila una vita pressoché decente, ora non lo ero più. Volevo che fossimo felici entrambi. E anche che avessimo una vita migliore, logico. Una notte mi svegliai e mi resi conto che stavo pregando nel sonno. Erano secoli che non pregavo. Certo, avevo continuato con la voce costretto dalle suore, ma non ricordavo quale fosse stata l’ultima volta che avevo pregato con il cuore, e non lo ricordo tutt’ora. Eppure stavo pregando, e non avevo bisogno di chiedere a me stesso cosa. Così, di punto in bianco, ricominciai. Non pregavo perché credevo in un essere superiore, pregavo sperando che qualcuno, mi sarebbe andato bene chiunque, esaudisse il mio desiderio. Eppure credevo che fosse un desiderio impossibile. Questo pensiero mi fece stare un’intera giornata a riflettere, senza pensare alle lezioni a scuola, o ai doveri che mi venivano assegnati. Giunsi alla conclusione che solo gli umani hanno questa speranza che supera anche la ragione e, nonostante la situazione in cui mi ritrovavo, distante dall’amore della mia vita e con una sorella a cui badare, fui contento di riscoprire quella scintilla di umanità in me.
Sheila si era accorta di questo cambiamento ma non voleva che io aspettassi in eterno qualcuno che non avrei mai più rivisto, così aveva iniziato a dirmi che era inutile pregare un nuovo incontro con “lei”, però allo stesso tempo non voleva ributtarmi giù di morale, e cercava di consolarmi. Un giorno mi disse:- Ma come puoi sperare di rivederla se sai che non ha interesse per te e non ti verrebbe comunque a cercare!?- avevo pensato diverse volte a questa possibilità, ed ero giunto alla conclusione di qualsiasi innamorato: avrei continuato ad amarla comunque. Così decisi di fare uno scherzo a mia sorella, e fingendomi triste, le dissi:- Lo pensi davvero?- lei si sorprese che di punto in bianco avessi ceduto e così, mi rispose, per consolarmi:- No, no, certamente è possibile che tu le piaccia…- s’interruppe di colpo, rendendosi conto di essersi tradita, ed io scoppiai a ridere:- Hahahahahah!- lei divenne rossa in faccia e replicò:- Allora l’avevi fatto apposta! Tu brutto… se ti prendo diventi nero!
Così iniziammo a rincorrerci per la cantina ed io, ormai in vena di battute, le dissi:- Ho già i capelli neri, non credi che sarebbe un po’ troppo avere anche la pelle nera?
– Fermati, fratello dei miei stivali! Voglio vedere come te la cavi se ti prendo!
Alla fine crollammo a ridere sul pavimento, e subito dopo ci ritrovammo nell’ufficio della direttrice per il troppo chiasso.
La cosa bella era che un mese dopo questo avvenimento il mio desiderio si avverò. Un giorno, mentre stavamo facendo lezione, Sheila ed io fummo nuovamente convocati dalla direttrice. Un po’ sorpresi che ci avessero chiamato senza aver fatto niente, tememmo una falsa accusa ed io iniziai a prepararmi un’arringa di tutto rispetto, immaginando le possibili colpe che credevo ci sarebbero state addossate. La porta dell’ufficio della direttrice si aprì e io e mia sorella rimanemmo sulla soglia, ammutoliti dallo stupore.
Davanti alla direttrice sedeva una giovane donna, che stava compilando diversi moduli sparsi sulla scrivania.
– Non fate quelle facce stupite, sedetevi- intimò la direttrice,- lei è la signorina Emma Parker. Anche se è difficile crederlo, è qui per adottarvi.
Fine parte 2
Alys
Brava Alice, atmosfera intrigante. Curiosa di leggere quello che verrà dopo. Complimenti!