In occasione della quindicesima edizione del Pisa Book Festival, Paolo Ferragina e Fabrizio Luccio, in un incontro dal titolo Programmare la scuola del futuro, hanno presentato il loro libro Il pensiero computazionale dagli algoritmi al coding, rivolgendosi soprattutto ai giovani.
Il libro raccoglie una serie di lezioni corredate da altrettanti esercizi che si propongono come obiettivo quello di accrescere l’abilità di discutere e organizzare la soluzione di un problema attraverso algoritmi e coding, due procedimenti fra loro complementari. Il primo teorico e il secondo operativo, entrambi i procedimenti ci consentono di gestire grandi quantità di dati di fronte a eventi di qualsiasi natura, per esempio mentre facciamo la spesa e dobbiamo pensare contemporaneamente a gusti, budget economico, ricette, o a ciò che abbiamo già in dispensa.
Questi due procedimenti fanno parte di quello che è chiamato il pensiero computazionale, un processo mentale molto efficace che noi tutti possiamo e dobbiamo imparare ad acquisire al più presto, in quanto consente di risolvere problemi seguendo metodi e strumenti specifici, e che è in sostanza la capacità di pianificare una strategia per superare una difficoltà; rendere proprio questo tipo di ragionamento può portarci a diventare più originali e meno ripetitivi.
“Uno dei maggiori rischi del pensiero computazionale è l’uso politico che ne può derivare; diventare schiavi non tanto degli algoritmi ma di chi li crea è un passo facile da fare”, afferma il professor Luccio e, proprio a questo proposito, dice che sta diventando per noi stessi sempre più necessario acquisire questo tipo di ragionamento, anche solamente per essere più consapevoli mentre usiamo social network e piattaforme di shopping online, che riescono a indirizzarci verso una data offerta o orientamento senza che noi ce ne rendiamo conto.
Alla fine dell’incontro, il professor Luccio ha risposto ad alcune domande.
- In poche battute, che cos’è il pensiero computazionale? Perché secondo lei a oggi è importante conoscerne i meccanismi?
“Il pensiero computazionale è l’abilità di discutere e organizzare la soluzione di un problema – procedimento chiamato algoritmo – e poi trasferire e trasformare la struttura creata in un programma, cioè in azioni materiali che una macchina può eseguire; quest’ultimo è un procedimento più operativo che mette in atto le mosse teorizzate con l’algoritmo e prende il nome di coding”.
- Viviamo in un’epoca in cui il tempo è una risorsa sempre più percepita come sempre più rara; lei pensa che imparare a usare algoritmi e coding possa aiutarci a ovviare alla ‘mancanza di tempo’?
“Capire il procedimento algoritmico e la sua utilità risulta sempre più indispensabile per acquisire più velocemente maggiore consapevolezza dei mezzi usati da molte aziende a scopo esclusivamente commerciale; acquisire la consapevolezza di una logica computazionale ci può consentire di non diventare schiavi dei mezzi elettronici che abbiamo d’intorno. Per accrescere le proprie capacità di problem solving e reagire velocemente in determinate situazioni può essere, in termini di ‘risparmio’ di tempo, molto utile costruire il codice dall’algoritmo, ossia fare coding”.
- Si sente spesso parlare di Big Data e algoritmi che controllano le nostre scelte, per esempio sui social network o sulle piattaforme di shopping online. La domanda che sorge spontanea è: se gli algoritmi ci controllano, chi controlla gli algoritmi? E, a questo proposito, c’è il rischio che il nuovo conflitto mondiale possa avere origini matematiche?
“Uno dei maggiori rischi quando si ha a che fare con algoritmi è l’uso politico che ne può derivare; diventare schiavi non tanto degli algoritmi ma di chi li crea è un passo facile da fare e si prospetta sempre più necessario regolamentare la creazione di algoritmi, affinché questi non diventino il mezzo per raccogliere dati personali che hanno come primo e unico obiettivo quello di vendere prodotti o orientare il cliente verso una data offerta. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, è difficile dare una risposta; ciò che è sicuro è che sembra sempre più impellente la costituzione di regole precise che determino la gestione di queste informazioni, per evitare probabili conflitti”.
- Lei è uno dei padri dell’algoritmica italiana, com’è nata la sua passione per gli algoritmi?
“Dopo essermi laureato in ingegneria, è grazie all’entusiasmo e alla lungimiranza di alcuni professori che ho cominciato a interessarmi di algoritmica; questi avevano capito che il mondo stava andando verso quell’orientamento, io mi sono appassionato al tema e da quel momento non ho mai smesso di metterlo al centro dei miei studi e delle mie ricerche”.
In occasione del progetto Pianeta Galileo è stato chiesto ad alcuni classi liceali di realizzare un video o una quarta di copertina sul testo presentato dai due autori. Ci piacerebbe molto se, nei prossimi mesi, grazie al progetto, questo tema potesse essere più conosciuto e diventare oggetto di interesse di altri studenti pisani.
A cura di Cecilia Barachini
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