“La Francia è in guerra” con queste parole il Presidente della Repubblica Francese François Hollande rispose alla serie di attacchi terroristici che in una sera come le altre avrebbero cambiato le sorti non solo di Parigi e del Vecchio Continente, ma del mondo intero.
“C’est pour la Syrie!” gridavano i terroristi in Rue della Fontaine au Roi, lasciandovi ben cinque morti. In quella sera di metà novembre di due anni fa questa frase (in sostanza “l’Elena di Troia” del 13 novembre) ha macchiato (nel senso letterale del termine) il suolo di Parigi con il sangue di 130 uomini, donne, bambini. Francesi, Cileni, Egiziani, Italiani. L’attacco non ha colpito solo Parigi; ha colpito il mondo. Un mondo che doveva reagire per ribadire le proprie basi democratiche contro un fondamentalismo islamico che aveva attaccato le proprie città. Ma come reagire a un atto così grave? Con le bombe! I grandi “pacieri facili” a cui le nazioni possono ricorrere per una risoluzione immediata – e in certi casi più semplice – di un momento complesso; una risposta ai problemi veloce che riesce facilmente a placare gli appetiti di una qualche astratta pena capitale che l’incontentabile massa richiede. In più una comoda risposta anche per i produttori di armi delle varie nazioni che basano le proprie finanze proprio su queste disgrazie (“disgrazie” per il popolo naturalmente, non certo per loro).
Mentre il mondo politico sceglie la strada della violenza e dell’aggressione, una parte della popolazione sembra rispondere a queste violenze con la xenofobia e un razzismo islamofobo. Si decide quindi di seguire dei demagoghi che con “chiudere le frontiere, mettere sotto controllo tutti gli islamici in circolazione” (da un post del senatore Gasparri) o con “i libri di Oriana Fallaci obbligatori in tutte le scuole” (postato nella notte tra il 13 e il 14 novembre dall’onorevole Salvini, con un’evidente strumentalizzazione anche dei libri della Fallaci della quale ben conosciamo le ideologie antifasciste e comuniste) riescono a gettare acqua sul fuoco di una paura generalizzata. Anche girando fra vari bar della nostra città ho avuto l’occasione di assistere in prima persona a discussioni ai limiti del satirico con frasi del tipo “Noi a Pisa non la vogliamo ‘sta moschea, se la facciano a casa loro, deh!” o “Io non voglio un posto dove quei musulmani possano imparare a spararmi”.
Hanno vinto i terroristi quindi? Abbiamo veramente dimostrato agli jihadisti che il nostro mondo, che dall’epoca greco-romana si vuole porre come “faro della civiltà”, non conosce altra risposta che la violenza militare e politica? Il mondo civile che dovrebbe seguire i valori umani ha veramente lasciato che dei demagoghi siano l’unica risposta da dare al sentire collettivo?
Già per l’attentato alla sede di Charlie Hebdo le varie nazioni avevano arginato l’Odio (con la “O” maiuscola) con una grande marcia di solidarietà a cui parteciparono i leader di tutto il mondo. Questa volta si è voluto contrastare nuovamente l’Odio dei terroristi e dei razzisti in maniera differente e, a mio avviso, più potente: un giovane italo-tedesco, che (incarnando l’ideale dell’eroe fumettistico che va dove c’è bisogno del suo aiuto) aveva già suonato in piazza Taksim durante le proteste del 2013, nelle quali gli fu anche sequestrato il suo piano, ha trainato in bici il suo pianoforte fino a Rue Richard Lenoir a pochi metri dal Bataclan, il teatro che ha visto il maggior numero di vittime durante gli attentati di Parigi del 13 novembre. Poi ha cominciato a suonare le note di “Imagine” di John Lennon richiamando intorno a sé una folla di uomini. L’odio e il “chi mi parla dell’islam moderato lo prendo a calci in culo” sono stati così respinti dai valori di humanitas e da “A brotherhood of man/ Imagine all the people/ Sharing all the world…” che ha così riscaldato i cuori degli uomini ripiegati nell’odio. Da Parigi l’ondata di pace ha viaggiato sulle note di “You may say I’m a dreamer/ But I’m not the only one/ I hope someday you’ll join us/ And the world will live as one” diffondendosi in tutte le città dell’Unione Europea e del mondo. “Imagine” ha intrecciato le sue parole con canzoni come “Don’t look back in anger”, “Let it be”, “la Marsigliese” e “Like a Prayer”. I familiari delle vittime hanno così potuto posare una candela davanti alla foto dei propri cari non tra le grida di Odio propagandistico, ma tra le note della Pace, la vera Pace, non quella che si fa con le cosiddette peacekeepings, ma quella pura, ideale che non fa trovare posto nemmeno a una pallottola o a una lacrima, quella che non fa scorrere sangue per realizzarsi, la Pace vera.
Manifestazioni di questa pace si sono avute anche nella nostra città quando il Liceo Classico Galilei, l’Istituto tecnico-commerciale Pacinotti e il Liceo Scientifico Dini sono scesi nel cortile comune alle tre scuole e hanno formato un gigantesco torre eiffel-simbolo della pace mentre uno studente del Liceo Classico, parlando dall’alto delle scale del Pacinotti, ricordava a tutti questo sentimento di Pace e di fratellanza che si doveva affermare come margine contro l’odio.
Oggi sono passati due anni da quella notte del 13 novembre e, come allora si urlò nelle piazze “We are not afraid!”,oggi le ribadiamo. Due anni sono passati: ci sono stati altri attentati (pochi giorni fa- venerdì 10 – proprio a Parigi), sono stati pianti altri morti, altre missioni militari sono state intraprese. Musei e siti archeologici come quello di Palmira hanno subito gravi danni a causa delle barbarie perpetrate dal sedicente Stato Islamico; intere città nelle quali si erano arroccati i mujaheddin sono state rase al suolo; nei migliori dei casi, gli abitanti delle stesse sono stati costretti a lunghe marce per trovare un posto sicuro nel quale rifugiarsi (trovando in certi casi – paradossalmente anche in Europa – difficoltà e ostilità da parte dei popoli che avrebbero dovuti accoglierli), nei più tragici, sono stati usati come scudi umani dai “combattenti per la fede”. Sono passati due anni, ma l’Odio continua a invadere le nostre vite.
Non si è ancora capito che l’estremismo, il fondamentalismo, i foreign fighters e la violenza sono figli di un processo culturale. Tu cittadino “x” con padre immigrato di fede islamica e madre francese cammini per strada, a un certo punto passi davanti a un gruppo di uomini e li senti borbottare “guarda sto beduino che vive mantenuto dallo stato, li brucerei tutti, faceva bene Hitler”. Premettendo che io non sono un sociologo, mi sembra ovvio che il nostro cittadino “x” continuando a camminare inizierà a domandarsi “ma è proprio questo il mio mondo? no, non lo è, questo mondo mi odia e mi vede come il nemico. Bene, anch’io odio loro”. È così che si crea un foreign fighters, cosa che ci viene dimostrata proprio dagli attentati del 13 novembre che sono stati compiuti appunto da cittadini francesi immigrati di seconda generazione.
Parafrasando Dostoevskij “La fratellanza salverà il mondo”.
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